Come ogni 25 novembre, si celebra il rito delle promesse contro la violenza di genere, i buoni propositi perché mai più, o sempre meno, si debbano raccontare storie di donne maltrattate, abusate e uccise da mariti, ex, comunque compagni di vite che ad un certo punto hanno preso strade diverse. Sono 89 casi al giorno, un vero e proprio stillicidio: aggressioni, violenze, atti persecutori e abusi di ogni genere, psicologici, fisici e sessuali. Fino al femminicidio: nel 2021 sono registrati 109 casi, l’8% in più rispetto all’anno scorso. I dati sono della Direzione centrale anticrimine della Polizia. Numeri che raccontano un’emergenza troppo spesso però relegata nella parte basa delle priorità.

Il pool di ministre del governo Draghi, in prima fila Bonetti (Famiglia e Pari Opportunità), poi Lamorgese (Interno), Cartabia (Giustizia), Gelmini (Affari regionali) e Carfagna (Il Sud) hanno messo sul tavolo una serie di pacchetti – misure penali ed economiche – che magari non sono la soluzione finale del problema (non esiste, purtroppo) ma certo hanno il merito di combattere con i fatti i fiumi di retorica che si consumano in queste ore. Lo aveva detto il premier Draghi lunedì: «La tutela delle donne è una proprietà assoluta del governo». Per Elena Bonetti (Iv) la tutela delle donne è il pane quotidiano per via della delega alla Famiglia e alle Pari Opportunità. Con le colleghe Lamorgese e Cartabia, titolari dei ministeri competenti cioè Interni e Giustizia, e le ministre Gelmini e Carfagna, stanno studiando un pacchetto di nuove norme penali che potrebbero andare in Consiglio dei ministri la prossima settimana (visto che in quello di ieri all’ordine del giorno ci potevano essere solo le nuove norme per limitare il contagio).

Si tratta di misure di maggiore efficacia sia sul piano sanzionatorio che su quello interdittivo. Si pensa, ad esempio, ad un fermo di polizia giudiziaria per gli autori di violenze anche se non colti in flagranza che invece di essere solo segnalati, denunciati, ammoniti o diffidati dall’avvicinarsi alla vittima, verrebbero arrestati e processati in direttissima e poi sorvegliati a distanza con il braccialetto elettronico. Sul tavolo anche l’ipotesi di una scorta per chi ha avuto il coraggio di fare denuncia. Il Codice rosso, introdotto due anni fa, è certamente una risorsa perché garantisce una corsia privilegiata alle indagine sui reati di genere. Ma la storia di Vanessa Zappalà, di Juana e tante altre come loro uccise da fidanzati stalker e già denunciati, dimostra che non basta. Occorre fare di più. Si tratta di norme che stanno già facendo discutere. «Guai a vittimizzare ulteriormente la donna, già nelle aule di giustizia ci sono troppi stereotipi contro le donne» chiarisce Valeria Valente (Pd), presidente della Commissione parlamentare contro i femminicidi che in queste ore ha presentato la relazione-bilancio sulla risposta giudiziaria ai femminicidi.

Vedremo. Oggi è il giorno degli annunci. Vero è che di compromessi al ribasso non si sente il bisogno. E che ogni due anni si legifera contro la violenza di genere ma manca sempre un pezzo. Questo “pezzo” ha a che fare non i codici penali e neppure le procedure. Chiama in causa la cultura, l’educazione, la formazione dell’individuo, uomo o donna che sia. Ha a che fare con l’autonomia della donna e ancora prima delle bambine e delle ragazze, la consapevolezza di sè. In una parola: studio e poi lavoro. A questa parte della sfida ha dedicato ieri un intero convegno Italia viva, tra le relatrici Bellanova, Boschi, Annibali, Paita, Garavini, Conzatti, Sbrollini, Occhionero. La ministra Elena Bonetti, ovviamente. Che è riuscita a mettere nella legge di Bilancio un intero capitolo di genere con ben 40 milioni “strutturali”, cioè non ballerini, destinati al “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne”. Un Piano che sarà blindato ogni anno nella legge di bilancio. E che ha il compito, si legge, di «attivare un circolo virtuoso che, attraverso una politica di supporto alle donne vittime di violenza e di prevenzione del fenomeno, aspiri a creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica, come disposto dalla Convenzione di Istanbul. Il Piano ha una funzione di indirizzo, coordinamento e monitoraggio di una strategia sinergica e integrata in materia di contrasto alla violenza maschile sulle donne».

Sono individuati una serie di principi ispiratori, tutte belle e altisonanti parole che si traducono, al momento, in 30 milioni per i Centri antiviolenza, veri, monitorati e non tarocchi come è successo per anni. E’ in questi Centri che una donna, giovane e meno giovane, può trovare il primo rifugio dopo la denuncia. I soldi sono destinati alle Regioni che si fanno carico anche del loro buon esito. Cinque milioni sono destinati ai Piano antiviolenza e altri cinque vanno al Piano Parità. La deputata Lucia Annibali, avvocato, capogruppo in Commissione Giustizia per Iv, soprattutto una donna che ogni giorno fa i conti con coraggio e determinazione con la violenza di genere che ha dovuto subire, ha proposto e ottenuto quello che viene chiamato Reddito di Libertà. Il fondo è già operativo ed è uscita la circolare Inps che spiega cosa fare per accedervi. Si tratta di 7 milioni destinati alle donne, con o senza figli, che hanno denunciato violenze e sono rimaste sole.

Poiché è dimostrato che spesso la non autosufficienza fa ritirare le denunce, comunque spaventa e disorienta, un contributo mensile fisso è un ottimo segnale che non si è soli e si è fatta la scelta giusta. Verso una nuova vita. Oltre al Reddito di libertà è stato previsto anche il Microcredito di libertà: altri tre milioni a cui le donne in difficoltà possono avere accesso per avviare progetti e iniziative lavorative. Finora governi e parlamenti hanno sempre agito più sul fronte penale che economico. La cronaca insegna che a volte l’unica salvezza, almeno nei primi tempi, è poter iniziare nuove vite lontano. In alcune regioni (tra cui la Sardegna) e comuni (ad esempio Imola) sono già attivi protocolli per cui alle mamme vittime di violenza e con figli vengono assegnati mini appartamenti e un lavoro.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.