Nel quartiere Quadraro, a Roma, c’è una struttura con un cancello sempre aperto. Entrando e attraversando il piccolo giardino si incontrano le operatrici e attiviste di Lucha Y Siesta – Casa delle Donne, lo storico centro antiviolenza della Capitale che negli anni è diventato uno spazio aperto alla città e luogo di incontro e autodeterminazione.

“Investire nella cultura”

I 109 femminicidi da inizio anno, uno ogni 72 ore, con un incremento dell’8 per cento rispetto al 2020, dimostrano che le soluzioni adottate finora sono insufficienti. E che la situazione non è di carattere emergenziale. Su questo pone l’accento l’operatrice e attivista di Lucha Y Siesta Chiara Franceschini che spiega al Riformista come sia necessario un intervento strutturale e radicale per affrontare il tema della violenza maschile sulle donne con misure di prevenzione e formazione, soprattutto nelle scuole. “In questo Paese – aggiunge – spesso viene adottata una lettura emergenziale del fenomeno, dimenticandosi della profonda radice della violenza”. La violenza sulle donne richiede quindi azioni preventive, sistemiche e culturali per rompere gli stereotipi di genere.

La soluzione sarebbe quindi investire sulla cultura: educare alle differenze, all’affettività e alla sessualità. È necessario, sottolinea Franceschini, che ci sia una “maggiore consapevolezza all’interno delle istituzioni preposte, come ad esempio i tribunali civili che sono molto indietro sul tema. Ma è necessario – prosegue – una maggiore capillarità di formazione per le istituzioni come le forze dell’ordine, che si devono intervenire quando la donna decide di chiamare il 112 e di sporgere formalmente querela”.

Per Franceschini il codice rosso è stato quindi insufficiente. “Anche quando una donna decide di denunciare e di uscire da una situazione di violenza, non c’è una rete sufficientemente sviluppata per rispondere a quella domanda, per dare dignità a quel gesto di coraggio“. Molto spesso le donne, racconta Franceschini, incontrano una resistenza e una difficoltà a essere credute. “All’interno dei tribunali, spesso la donna viene messa sotto una lente di ingrandimento per essere analizzata in ogni minimo dettaglio”. E poi aggiunge: “Il primo atto necessario per sostenere una donna che con tanto coraggio decide di fuggire da una situazione di violenza è il grido femminista ‘Sorella, io ti credo’“.

Pochi posti letto

Lucha è un luogo piccolo ma ben strutturato. E trova forza grazie all’attività gratuita e volontaria delle operatrici che devono sopperire alla carenza di fondi statali. In 13 anni Lucha y Siesta ha sostenuto circa 1.200 donne. Il centro, racconta al Riformista l’operatrice Anahi Mariotti, ha 14 posti letto, ma al momento sono ridotti per fare fronte alla pandemia di Covid-19.

La scarsità di fondi, che molto spesso arrivano in ritardo, e i pochi posti letto hanno un riflesso sulle attività di accoglienza e protezione delle ospiti che sono costrette ad allontanarsi dalle loro case per la presenza di uomini violenti e maltrattanti.

A Roma ci sono solo otto centri antiviolenza per un totale di 25 posti letto. Secondo la Convenzione di Istanbul, racconta Mariotti, dovrebbero invece essere 300. Così le liste per avere un primo colloquio si allungano. “Quando una donna ha bisogno di allontanarsi dal maltrattante, non ci sono risposte concrete – aggiunge – E quello che dobbiamo fare è cercare in ogni angolo del territorio per riuscire a trovare un posto letto, soprattutto quando si tratta di donne sole e senza minori”.

A sostenere Lucha è la rete antiviolenza di D. i .Re – Donne in Rete contro la violenza, che copre quei buchi istituzionali, individuando una struttura in cui accogliere la donna. Ma molto spesso, racconta Mariotti, “siamo costrette, purtroppo, a fare una valutazione del rischio di ogni singolo caso e. quando capiamo che non ci sono altri centri antiviolenza disponibili, siamo noi (le operatrici di Lucha, ndr) a organizzare più colloqui e appuntamenti, anche oltre le nostre ore di lavoro, per aiutare la donna”.

Un dato che fotografa la condizione critica dei centri antiviolenza nazionali è quello della Calabria. L’attivista Franceschini sottolinea come in tutta regione del Sud ci siano solamente due spazi dedicati all’accoglienza e sostegno delle donne che subiscono violenza.

La rivendicazione degli spazi

Lucha è anche una casa rifugio, un luogo di cultura, prevenzione e educazione. E l’insieme di tutti questi elementi sono legati grazie alla generosità delle attiviste e delle operatrici, che da anni rivendicano uno spazio messo a rischio dalla miopia di amministrazioni comunali, ignare della comunità che lo vive e lo rende attivo. L’amministrazione dell’ex sindaca Virginia Raggi nel gennaio 2020 aveva intensificato gli sforzi per sgomberare l’immobile e ricollocare le 14 donne ospitate in altre strutture. Ma la svolta c’è stata lo scorso 5 agosto, quando la Regione Lazio si è aggiudicata l’immobile all’asta e ha avviato il processo verso il suo riconoscimento come bene comune.

E sugli sviluppi rispetto alla rivendicazione degli spazi con la nuova giunta di centrosinistra, che promette discontinuità rispetto al passato, le attiviste sono chiare: “Siamo in attesa di capire se alle parole corrispondono i fatti. Vogliamo vedere se realmente si avvierà un percorso verso la comprensione del significato profondo della violenza di genere e se si metteranno in campo le condizioni e i meccanismi per il riconoscimento della valorizzazione degli spazi femministi”.

Le attività del centro

Per la settimana del 25 novembre, giornata nazionale contro la violenza sulle donne, Lucha y Siesta ha organizzato appuntamenti giornalieri dedicati alla violenza di genere. Si arriverà poi sabato 27 novembre alla manifestazione nazionale a Roma organizzata dal movimento Non una di meno: appuntamento alle ore 14 a piazza della Repubblica.