«La mia esperienza è stata fatta nelle periferie, dove il livello culturale è bassissimo. Lì sia l’uomo che la donna sono difficili da trattare. In alcuni casi è veramente difficile portare una persona a denunciare e, in particolare, le persone perbene». Chi parla è un uomo delle forze dell’ordine, abituato a indagare tanto sugli episodi più feroci della storia criminale della nostra città quanto sulle storie più tristi della violenza di genere. La sua testimonianza è una voce che consente una lettura laterale del fenomeno che vede le donne vittime di abusi, maltrattamenti, veri e propri drammi.

Quello della denuncia è il primo passo per ogni vittima di violenza. E in questo passo è un esponente delle forze dell’ordine, un carabiniere o un poliziotto, la prima persona che le vittime incontrano. «Quando arrivano in caserma sono arrivate al limite. È difficile che si tratti del primo schiaffo. Le violenze iniziano verbalmente, cominciando con un semplice “non sai cucinare”, “non sai fare la madre”!». «Le donne quando arrivano in caserma sono stanche e distrutte, ma è come se ricordassero solo l’ultimo evento, quello che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso – racconta l’investigatore – . In molti casi, e questo è strano, non ricordano precedenti episodi di violenza. Una denuncia per maltrattamenti dura ore e ci vuole pazienza e tatto».

Quello della denuncia è un momento delicato, difficile, decisivo. «La persona comune non arriva a denunciare per paura, perché la paura è una condizione alla quale è abituata. Il sentimento comune è la vergogna, il pudore. Chi denuncia prova vergogna a raccontare, davanti a un carabiniere, quello che ha subìto, come se si sentisse giudicato». Il ruolo di chi raccoglie la denuncia è quindi di fondamentale importanza. C’è bisogno di investigatori preparati a gestire situazioni così delicate. «Mai, mai, sminuire il racconto di una vittima». Fondamentale anche saper capire quando ci si trova davanti a casi gravi. «In tanti casi, nelle denunce d’impeto i maltrattamenti non sono reali, si tratta di vendette nei confronti del coniuge, frequenti dove c’è un livello culturale molto basso. In molti altri casi, poi, i bambini diventano uno strumento per colpire il partner: “Mi prendo tuo figlio e non te lo faccio vedere più”. Casi decisamente limite sono quelli in cui le violenze sono commesse da donne nei confronti di uomini».

Da due anni è in vigore la nuova legge contro il femminicidio e la violenza di genere, il Codice rosso. «Prevede che, in caso di maltrattamenti, si chiami direttamente il magistrato, come se si trattasse di un arresto. E tutto l’iter giudiziario accelera moltissimo, aiutando a fare chiarezza». Una corsia privilegiata per le indagini, quindi. «Tuttavia, quando si tratta di entrare nelle famiglie, diventa dura anche per le forze dell’ordine».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).