I colpi di Stato vanno così di moda nel continente africano che sono ormai anche oggetto di fake news. Domenica sera è rimbalzata la notizia di un nuovo golpe che avrebbe colpito la Repubblica del Congo, meglio noto come Congo-Brazzaville per distinguerlo dal Congo-Kinshasa. Dalle prime indiscrezioni i militari avrebbero preso il potere nella capitale approfittando dell’assenza del presidente Denis Sassou-Nguesso in viaggio per New York per partecipare all’Assemblea delle Nazioni Unite. La notizia è rapidamente rimbalzata sulla rete che ha moltiplicato le casse di risonanza di questo evento che arrivava in uno dei momenti più delicati della recente storia del continente africano. Contattati nelle serata alcuni giornalisti congolesi si è subito scoperto che la notizia era priva di fondamento e che la situazione a Brazzaville era tranquilla.

La Repubblica del Congo ha visto il suo vicino Gabon preda di un golpe poche settimane fa ed il contagio pare inarrestabile. Questo aveva fatto pensare che la notizia potesse essere credibile e che anche il “regno” di Denis Sassou-Nguesso fosse giunto al termine. Il presidente congolese è infatti al potere da ben 26 anni nei quali ha ininterrottamente gestito il paese africano come una proprietà privata. Tutto molto simile al clan Bongo nel confinante Gabon dove un colpo di stato in seno alla famiglia ha pensionato Ali Bongo, stanco e malato. Denis Sassou-Nguesso è un uomo di 80 anni che detiene il potere con un piglio di ferro e che si muove agilmente nelle alleanze internazionali. Proprio lui in qualità di generale dell’esercito congolese nel 1979 prese il potere a Brazzaville cambiando il nome dello stato in Repubblica Popolare del Congo schierandosi con l’Unione Sovietica e proponendo una politica di stampo marxista-leninista. Al collasso del blocco sovietico il Congo cambiò nome e dal 1992 si tennero elezioni democratiche, ma nel 1997 scoppiò una guerra civile orchestrata da Sassou-Nguesso che fu eletto presidente. Da quel momento iniziò una gestione personalistica del paese che continua anche oggi.

La Repubblica del Congo appare uno stato legato a vecchi schemi con l’opposizione perseguitata ed un despota che governa con il pugno di ferro, una situazione insostenibile nell’Africa moderna e che aveva fatto pensare alla reale possibilità di un colpo di stato. Come il Congo anche il Camerun vive una situazione molto simile. A Yaounde il presidente Paul Biya ha già compiuto 90 anni e detiene il potere dal 1982. Rieletto nel 2018 con forti accuse di brogli e la denuncia di Amnesty International di violazione dei diritti umani, la presidenza di Biya si trova ad affrontare una guerra a bassa intensità nell’ovest del paese, in quello che viene chiamato ex Camerun Britannico. Come il Gabon, il Congo e la Guinea Equatoriale, il Camerun è diventato un possedimento personale della famiglia Biya che ha occupato tutte le posizioni chiave nel governo e nell’economia. Un’Africa centrale esplosiva dove vecchi politici screditati non rappresentano più le nuove generazioni e che difficilmente potranno continuare a gestire i loro paesi come vere e proprie tiranniche satrapie.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi