Per avere un’idea: la Francia nel Niger e in tutta la grande Africa centrale e occidentale, al sud del Sahel e nel più profondo cuore di un continente forse in via di risveglio, è tanto odiata e tanto indispensabile quanto gli Stati Uniti in America Latina. E quindi il fatto che la giunta militare golpista stia cercando di cacciare, minacciando in alternativa di ucciderlo, l’ambasciatore francese ha più o meno la stessa dimensione della cacciata dell’ambasciatore americano dal Paraguay o dal Venezuela. Inoltre, il piccolo Niger (in cui è stato messo agli arresti domiciliari il legittimo presidente che inonda il mondo di messaggi e riceve visite dei presidenti del circondario come un Salvador Allende dell’Africa nera) è grande quasi due volte la Francia.

La Francia quindi minaccia l’intervento perché Macron è furioso e anche perché gli Stati Uniti affiancano la Francia. Lo scenario è totalmente cambiato in Africa da quando sono arrivati i russi di Evgenij Prigozhin, poco prima che fosse ucciso in un incidente aereo con bomba nel carrello, perché il vecchio capo della divisione Wagner ha portato sulle sponde del Niger la bandiera russa che oggi sventola nelle mani dei ragazzi e in quelle della peggior feccia Jihadista.

Lasciare il Niger ai golpisti della guardia presidenziale significherebbe abbandonarlo a Putin e ad al-Quaeda. Impedirlo significa d’altra parte far decollare i caccia e far aprire il fuoco ai mille marines americani di stanza per addestramento e ai mille e duecento soldati francesi con l’arma al piede.

L’espulsione dell’ambasciatore francese costituisce una dichiarazione di guerra che fa seguito alla riunione dei Brics a Johannesburg dove Vladimir Putin non ha messo piede per non creare imbarazzi a causa del mandato di cattura internazionale che pende su di lui per aver deportato migliaia di bambini ucraini in Russia. Ma anche in absentia Putin ha vinto una mano importante contro l’Occidente abbracciando tutte le cause di tutte le giunte golpiste cui si è aggiunta da pochi giorni quella nel Gabon.
Due sono le alternative che Eliseo e White House hanno di fronte: aprire in Africa un secondo fronte antirusso che coinvolgerebbe la Cina, o arretrare protestando ma perdendo uno degli ultimi avamposti dell’Occidente nell’Africa post-coloniale.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.