Tra Washington e Pechino
Gli aiuti militari Usa a Taiwan scatenano l’ira della Cina. E un rapporto britannico rischia di innescare altre tensioni
Nelle crepe della politica e del diritto internazionale si fa largo una realtà fatta di divergenze ideologiche ed esistenziali tra le due superpotenze, con il rischio di deflagrare in un conflitto
L’isola di Taiwan è uno dei temi bollenti dei rapporti tra Cina e Stati Uniti e sono in molti a credere che un eventuale prossimo conflitto possa esplodere proprio per il controllo dell’isola. Per Pechino una provincia ribelle. Per Washington un territorio da difendere contro le ambizioni di Xi Jinping. Nel frattempo, la questione del suo status si fa sempre più fumosa. E nelle crepe della politica e del diritto internazionale si fa largo una realtà fatta di divergenze ideologiche ed esistenziali tra le due superpotenze, con il rischio che deflagrino in un conflitto che nessuno dei due attori vuole e che pure sembra sempre pericolosamente vicino. L’ultima mossa dell’amministrazione Biden è a questo proposito esplicativa tanto dell’importanza di Taiwan nei rapporti tra le due potenze quanto delle difficoltà di definire il rapporto triangolare tra Usa, Cina e isola.
Washington, infatti, ha deciso di inviare il primo pacchetto diretto di aiuti militari a Taipei scatenando l’inevitabile ira della Cina. Secondo i funzionari Usa, il volume degli aiuti è di 80 milioni di dollari. Una nota del Dipartimento di Stato ottenuta dalla Cnn afferma che il fondo del Foreign Military Financing “sarà utilizzato per rafforzare le capacità di autodifesa di Taiwan attraverso una capacità di difesa combinata e una consapevolezza maggiore del dominio marittimo e della capacità di sicurezza marittima”. Il problema è però di forma. E quindi, come sempre in diplomazia, di sostanza. Questo programma infatti è rivolto solo ai governi stranieri, mentre ufficialmente Washington è ancora legata alla politica “una sola Cina” definita dal duo Richard Nixon – Henry Kissinger. Il problema non è quindi il volume degli aiuti, sensibilmente inferiore a quello fornito abitualmente da Washington, ma il profilo politico.
La Cina, infatti riterrebbe violata la dottrina che – se non altro a livello formale – determina la visione Usa sulla non statualità di Taiwan. Il governo di Xi, il quale ha detto di voler risolvere la questione dell’isola entro il 2050 – anche se qualche osservatore ritiene possibile un’accelerazione – ha commentato la mossa di Biden attraverso il portavoce del ministero della Difesa, Wu Qian. Il funzionario ha sottolineato che gli aiuti “non fanno altro che nutrire il complesso militare e industriale statunitense danneggiando al tempo stesso la sicurezza e il benessere dei compatrioti di Taiwan”. Una frase che ribadisce come per Pechino l’isola resti una questione esclusivamente interna.
Il Dipartimento di Stato americano ha ribadito che non è in corso alcun cambiamento della politica nei riguardi di Taipei e della “una sola Cina”. Nel frattempo, però, proprio negli stessi giorni in cui l’amministrazione Biden ha varato il pacchetto di aiuti, un rapporto della commissione Esteri della Camera dei Comuni britannica rischia di essere un innesco di altre tensioni. Nel testo si legge che Taiwan ha tutto perché le sia riconosciuta una forma di statualità. E tutto questo accade a poche ore dall’incontro tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo britannico James Cleverly in cui il primo aveva detto che “l’indipendenza di Taiwan è incompatibile con la stabilità nello Stretto”.
È abbastanza probabile che da parte della Cina il doppio colpo degli aiuti militari Usa e del rapporto bipartisan del parlamento britannico – quindi del migliore alleato di Washington – siano letti come segnali d’allarme. E non è da escludere una risposta che possa concretizzarsi in un aumento della pressione militare sull’isola. Da tempo le forze aeree e navali di Pechino circondano l’isola con continui movimenti ed esercitazioni. Wu Qian ha avvertito che le forze armate adotteranno “contromisure necessarie e risolute”. Senza contare che Xi, indebolito dalla crisi economica interna, potrebbe sentirsi in difficoltà – o addirittura messo sotto pressione nei ranghi del Partito comunista – su quello che è da sempre uno dei pilastri della sua agenda per il futuro della Cina.
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