La Cina sta malissimo e nessuno è in grado di predire se il suo imperatore e segretario del PCC, Xi Jinping, saprà contenere il proprio sdegno per lo stress cui lo sottopone il Presidente americano Joe Biden, o se cedere all‘incauta tentazione e lanciare una disperata «operazione militare speciale» contro l’isola contesa, cosa che porterebbe a uno scontro militare diretto con gli Stati Uniti.

Quella per Taiwan è una crisi ricorrente fatta di minacce ritirate, che in questo momento è al codice rosso, ma il vero problema della Cina è la sua grave crisi economica, a partire dal comparto dell‘edilizia bloccata dall‘assenza di circa duecento milioni di cinesi mai nati a causa dell‘infanticidio di massa con cui vennero soppresse circa 180 milioni di neonate, affogate per la politica di «un solo bambino per famiglia».

Oggi altrettanti maschi cinesi sono demograficamente sterili con conseguente crollo del mercato interno e dei consumi di massa. La crisi edilizia cinese si riflette anche sulle economie occidentali ed è un fattore di crisi sulle borse europee e americane.
Il secondo motivo della gravità della crisi cinese di natura politico-militare. Joe Biden ha deciso di sfidare a brutto muso le minacce di Xi Jinping invitando a New York il vicepresidente di Taipei, William Lai in visita ufficiale. Lai proviene da un’altra visita ufficiale in Paraguay alla ricerca di contratti per l’impegno delle terre rare di cui Taiwan è uno dei massimi produttori mondiali e le cui aziende sono per lo più su suolo americano.

Il prolungamento della missione di Lai rappresenta una aperta sfida a Pechino perché Taiwan è legalmente parte del territorio nazionale cinese, anche se da un secolo l’isola non dipende da Pechino. Dopo la fine della guerra civile vinta da dall’esercito comunista di Mao Zedong, il generalissimo Chang Kaishek occupò Taiwan e il mondo diplomatico internazionale lo riconobbe come legittimo legittimo leader dell’unica Cina rappresentata alle Nazioni Unite. Poi le cose cambiarono quando il Presidente americano Richard Nixon aprì a Mao inviando una squadra di giocatori di Pingpong e da allora i rapporti cino-americani furono buoni in funzione anti-soviertica. Ma quando l’Urss cadde frammentandosi e finì la guerra fredda, gli americani contribuirono alla nascita di una Cina industriale moderna.

Ma con l’arrivo di Xi Jinping al vertice del partito comunista, la Cina ha speso gran parte del suo prodotto interno per creare una forza militare in grado di competere con quella americana nel mare di Taiwan. L’incerta politica di Xi Jinping di fronte all’inattesa mossa militare russa contro l’Ucraina ha spinto Biden a una resa dei conti: la Cina guadagna e vive soltanto grazie al mercato americano e la Casa Bianca due settimane fa ha imposto a Xi Jinping di scegliere fra una ripresa economica e un’avventura militare. Xi è molto sensibile al timore di perdere la faccia, ma anche che se le esportazioni verso gli Stati Uniti crollassero, dovrebbe fronteggiare il malcontento delle campagne e affrontare un conflitto interno su cui puntano molti dei suoi nemici interni nel Partito comunista.

Oggi la Cina avverte di seguire minuto per minuto gli sviluppi dei rapporti fra Taiwan e Stati Uniti, ma la Casa Bianca è convinta di poter piegare la Cina a più miti consigli sul fronte estero perché non sarebbe in grado di fronteggiare un collasso interno.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.