Spunti per un futuro negoziato
Guerra in Ucraina, la svolta cinese arriva da Gedda: Pechino, il “sud del mondo” e la sfida all’Occidente

Sull’incontro di Gedda in Arabia Saudita, i punti di vista di Russia e Ucraina sembrano opposti. Per il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, “non c’è alcun presupposto per la pace e l’operazione militare proseguirà nel prossimo futuro”. Per l’inviato ucraino Andriy Yermak, invece, l’incontro voluto dal principe saudita Mohammed bin Salman “è stato un passo verso l’attuazione pratica delle iniziative di pace proposte dall’Ucraina”. La verità forse è nel mezzo. Le bombe russe sull’Ucraina e i droni di Kiev contro navi e postazioni russe o diretti contro Mosca fanno credere che, al momento, è il campo di battaglia a decidere il destino di un conflitto che dura da più di 500 giorni.
La controffensiva ucraina, a detta di molti esperti occidentali, arranca tra i campi minati e le fortificazioni russe. Qualcuno ha addirittura suggerito errori nell’addestramento da parte dei Paesi Nato, al punto che le unità di Kiev in prima linea sarebbero costrette a tornare alle vecchie tattiche russo-sovietiche. Tuttavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra sicuro nel non volere scendere a compromessi fino a che l’operazione non ottenga un risultato che, allo stato attuale, appare molto complicato: la completa liberazione dei territori invasi dai russi. E con questi si intendono non solo le regioni invase dopo febbraio 2022, ma anche la Crimea. Le posizioni delle due parti sono inconciliabili. E questo è dimostrato anche dal fatto che Kiev abbia fatto capire anche in Arabia che la base di partenza per la pace è il piano di Zelensky, mentre Mosca nega alcun tipo di valore a un summit senza la Federazione Russa. Eppure, l’impressione è che l’incontro di Gedda possa avere fornito spunti per un futuro negoziato. E questa impressione è data soprattutto dagli ospiti. Innanzitutto, rispetto al vertice di Copenaghen, l’incontro di Gedda ha visto la presenza del “Sud del mondo”.
Se l’incontro in Danimarca appariva ristretto al blocco occidentale e ai più noti alleati del Paese invaso, nella città saudita sono state invitate delegazioni di circa 40 Paesi tra cui anche Qatar, Bahrein, Egitto, India, Sudafrica, fino ai sudamericani di Argentina, Brasile e Cile. Stati che, se non sono mai stati avversari della causa ucraina, certamente non sono nemmeno mai apparsi come fermi oppositori del Cremlino. Inoltre, un ruolo fondamentale lo ha avuto la presenza di un delegato della Cina, il rappresentante speciale per gli Affari euroasiatici Li Hui. E dal momento che le idee della Repubblica popolare, alleata “senza limiti” della Russia, hanno un peso rilevante nelle mosse di Vladimir Putin, il fatto al summit fosse presente l’inviato di Xi Jinping è certamente un elemento da non sottovalutare. Importante soprattutto per due ragioni. La prima è racchiusa nel fatto che Li Hui abbia detto, a fine summit, che l’incontro è servito a “consolidare il consenso internazionale sulla soluzione della crisi ucraina”. Una frase che non deve tradursi, come è stato fatto in queste ore, nell’appoggio tout-court della Cina al piano ucraino, ma che in ogni caso svela un rinnovato interesse da parte di Pechino verso una definizione del conflitto scatenato da Mosca.
Una guerra che inizia a essere difficile da sostenere anche per l’establishment cinese, che deve continuamente giocare sull’equilibrismo tra i solidi rapporti con Mosca e la volontà di non perdere i legami economici con l’Occidente, evitando di rimanere ancorata alla narrativa russa. In questo senso, la dichiarazione di Li Hui serve anche a mitigare le reazioni negative sorte dopo il suo tour europeo di maggio, quando, oltre a ribadire la bontà del famoso piano dei 12 punti di Xi, l’inviato di Pechino pare avesse lasciato intendere di considerare possibile, come base del futuro negoziato, la cessione a Mosca delle regioni occupate. Ipotesi che, in attesa della controffensiva ucraina, non fu accolta bene né da Kiev né dalle cancellerie occidentali. Una seconda ragione per considerare importante la presenza di Li è inoltre l’immagine che Pechino ha voluto dare dell’incontro di Gedda. E questo vale sia per la diplomazia di bin Salman sia per le ambizioni globali di Xi in particolare verso il “sud del mondo”. L’assenza di Li in Danimarca e la successiva presenza – che le fonti dicono anche molto attiva e dinamica – in Arabia Saudita conferma la volontà del Politburo cinese di evidenziare l’intesa con la monarchia di Riad. Una partnership fondata principalmente sul petrolio, ma che ora appare anche politica, come certificato del resto dalla “benedizione” dell’accordo tra Arabia Saudita e Iran per la normalizzazione delle relazioni. Quella svolta diplomatica è stata probabilmente l’immagine più eloquente dell’inserimento della Cina nel complesso scacchiere mediorientale, ma è stata anche un segnale del desiderio di bin Salman di rinnovare la propria immagine sullo scenario regionale ergendosi come figura-chiave rispetto ad altri attori dell’area, dagli Emirati Arabi Uniti alla Turchia. Il supporto di Pechino in questa proiezione geopolitica saudita può essere molto importante, se non decisivo.
Oltre al sostegno alla mossa saudita, la Cina ha anche voluto mostrare di non essere sorda alle iniziative di pace quando esse provengono da attori diversi dal blocco occidentale. Per Xi è importante ribadire la propria leadership in quello che viene ormai definito il “sud del mondo”. E il fatto che in questo incontro fossero presenti sia gli altri Brics sia altri partner della potenza asiatica è di certo servito alla Cina anche per sottolineare la propria immagine di attore globale, pienamente partecipe del mondo al di là dell’Occidente e non disinteressato alla pace (come dimostrato dal fatto che a Pechino dovrebbe arrivare il cardinale Zuppi). Questo senza voltare le spalle alla Russia, che resta utile come partner nella sfida agli Stati Uniti e in diverse aree del mondo, a partire dall’Africa. Non è un caso che il ministro degli Esteri Wang Yi abbia avuto una telefonata con l’omologo russo Sergei Lavrov in cui non solo ha ribadito che “più di 20 Paesi hanno espresso il desiderio di aderire” ai Brics, ribadendo l’importanza di quel blocco, ma anche che il governo cinese “manterrà una posizione indipendente e imparziale” sulla guerra in Ucraina con una “voce obiettiva e razionale”, perché Russia e Cina possono fare tra loro affidamento come “buoni amici”. Se Kiev può essere lieta della presenza cinese a Gedda, Mosca sembra comunque aver ricevuto garanzie dall’Impero di mezzo.
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