La pace è indispensabile, è necessaria, è fondamentale per uscire non solo dalla spirale di orrore senza fine di quasi sette mesi di guerra, ma per dare un segnale positivo a un mondo incupito da troppi conflitti. Il piccolo spiraglio che si è aperto, con l’ipotesi di un incontro tra Biden e Putin, va oggi sostenuto, favorito, per ampliarlo e fare aprire le porte del dialogo diretto, che è forse l’unica via capace di portare a una maggiore comprensione tra le parti. Se poi si coinvolgesse anche la Cina…

Papa Francesco invita alla pace ogni giorno, tutti i giorni e in tutte le occasioni che ha avuto in questi sette lunghi mesi. «Cessi l’uragano della violenza e si possa ricostruire una convivenza pacifica nella giustizia», ha ripetuto ancora mercoledì al termine dell’udienza generale. Domenica 2 ottobre, è il caso di ripeterlo, dopo essersi direttamente appellato al presidente russo e al presidente ucraino, aveva detto, con forza: «A tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo. Per favore, facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace, non quella inquinata della guerra, che è una pazzia! Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!».

Le parole del Papa sono decise, forti, ma anche – dobbiamo dirlo – “audaci”. Sì, audaci, perché raccolgono il senso di impotenza e frustrazione di tanti di noi, di fronte al fallimento di questa politica che non ha saputo o voluto leggere i segnali e prevenire il conflitto. Una politica che spesso dà l’impressione – in Europa e Oltreoceano – di volerci abituare all’idea di un conflitto destinato a prolungarsi e alzarsi spaventosamente di livello. Dobbiamo dirlo: solo ipotizzare un uso delle armi nucleari è pura follia! Allarghiamo ogni spiraglio per la pace. Ma quale pace? Oggi è necessario lavorare per arrivare al dialogo e dal dialogo spingere alla ricerca di un compromesso, che tenga insieme sia la pace, necessaria ed indispensabile, sia la giustizia, altrettanto necessaria e indispensabile. Alla politica servirà senza dubbio un impegno e uno sforzo per escogitare soluzioni che non siano le facili parole delle armi o accontentarsi di un conflitto a bassa intensità che dura anni e logora tutti e tutto, dall’economia alla politica, dalla convivenza ai rapporti tra popoli tutti cristiani.

Certo, lo ripeto, il cammino non è affatto semplice. È così in tutti i conflitti. L’ho constatato di persona, ad esempio, nel conflitto balcanico, negli anni Novanta, quando sembrava a portata di mano l’intesa tra le parti, tra Serbia e Kosovo. C’era un avvio di accordo, firmato sia da Milosevic che da Rugova: era un compromesso che faceva intravedere un futuro di pace. Purtroppo, una più forte volontà di guerra ha spezzato famiglie, popolazioni, legami. E ancora oggi in quella regione manca una pace piena e un futuro stabile. C’è un ulteriore elemento su cui riflettere, a partire dalle parole di Papa Francesco: “facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace”. E allora, i giovani rappresentano la categoria di cui noi più anziani – i padri e le madri – stiamo ipotecando il futuro. Non solo con i danni che vengono all’economia dal conflitto, ma con l’assuefazione all’idea stessa che oggi un conflitto sia possibile.

Con l’idea di lasciare in eredità un mondo diviso. In questi mesi mi accade molto spesso di parlare con tanti, tantissimi uomini e donne, giovani e anziani, gente comune e politici; tutti chiedono pace, ognuno comprende che con la guerra tutto è perduto. Però il conflitto non si ferma. È ovvio perciò che bisogna assolutamente fare di più. E da parte di tutti. Iniziando da quella della politica. Ma non solo. La pace deve essere un’opera di tutti: non può essere un’idea divisiva, come purtroppo a volte vediamo. Certo, la pace funziona se è collegata alla giustizia. Paolo VI, riprendendo la Dottrina Sociale della Chiesa, con lungimiranza affermava: la giustizia è il nuovo nome della pace. Una strada che va perseguita con coraggio e costanza, determinazione e umiltà. Ma soprattutto con “audacia”, anche qui e di nuovo. Audacia di risvegliare l’anelito alla pace deposto nelle coscienze di ogni uomo e di ogni donna. Una scelta per la pace consapevole, senza bandiere di parte, che vuol dire non arrendersi alla logica del più forte e scegliere appunto una pace che si coniughi con la giustizia.

Una scelta realista verso la pace, che prende l’avvio – perciò – dalla condizione che si è creata sul terreno e che con decisione e intelligenza persegue la logica della costruzione dell’accordo e non della prosecuzione del conflitto. Ecco perché occorre anzitutto fermare le armi, disarmare i cuori e mettersi a riflettere e a dialogare. E sono utili, molto utili quelle manifestazioni che aiutano a tener desta questa prospettiva. Deve risuonare forte lo sdegno per la guerra, per le guerre. Con le armi – con quelle che oggi sono in possesso dei popoli – non vince nessuno. Gli analisti spiegano che il conflitto in Siria è stato la prova generale di quanto sta accadendo oggi in Ucraina, da parte della Russia. E possiamo chiederci tutti: in Siria c’è o c’è stato forse un vincitore? Che vittoria è, se la vogliamo chiamare “vittoria”, avere a che fare con migliaia e migliaia di morti, un paese devastato, migliaia e migliaia di profughi, bambini orfani, famiglie distrutte?

E quale Capo di stato può “tranquillamente” pensare di alzare le armi contro altri esseri umani o contro la sua stessa popolazione, per “difendersi”? Davvero non ci sono altre strade? Davvero non si riesce a vedere che i conflitti lasciano sul terreno non solo macerie e vittime ma soprattutto lasciano sul campo la razionalità umana, la ragionevolezza, tutte le conquiste acquisite a fatica con il progresso, la civiltà, la fede? Ma cogliamo il momento propizio che forse è a portata di mano. Oggi, il senso di frustrazione che abbiamo un po’ tutti di fronte ad un conflitto che non si riesce a bloccare, può fare i conti con due segnali di speranza. L’apertura di uno spiraglio di dialogo tra i politici, e il risveglio del desiderio di pace che anche con manifestazioni pubbliche manifesta lo sdegno per la guerra e il sostegno per il dialogo. L’orizzonte di questi due segnali li possiamo iscrivere nell’orizzonte che il Salmo 85 ci dischiude: «Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno».

Siamo popoli di tradizione cristiana, dall’Atlantico agli Urali, e il nostro compito è – sarebbe, sarà! – di mostrare al resto del mondo che la giustizia e la pace camminano insieme. Perché siamo fratelli e sorelle tra noi. Lo siamo davvero, non cadiamo nel percorso più facile del cancellare l’altro; seguiamo decisamente la via del dialogo e dell’intesa. Più difficile, certo, però umana. Avendo nel profondo del cuore la convinzione di Paolo Apostolo che ai Romani scriveva di essere come Abramo, saldi “nella speranza contro ogni speranza”(spes contra spem).