Non è raro che nella società americana politica e cinema si intreccino e che attrici e attori scendano in campo in sostegno di candidati democratici, e talvolta anche di quelli repubblicani. Tradizione questa che si è consolidata da quando l’attivismo politico è divenuto marchio indispensabile della Hollywood liberal, salvo poi alienarsi il sostegno di quegli elettori che, per quanto idealmente affini, non amano paternali e consigli da chi naviga nell’oro e nel successo. In una Nazione divisa, dilaniata da innumerevoli disparità sociali, tutto assume significati ed esiti differenti e imprevedibili. Con una radicalizzazione della politica ben oltre le già estreme vette raggiunte sul finire degli anni Sessanta.

Occhi chiusi

Di certo quello che la sinistra americana vive da tempo è un cortocircuito ideologico tra pulsioni opposte, che conduce verso inevitabili inciampi. Come ricordato – involontariamente – da Meryl Streep alle Nazioni Unite parlando della condizione drammatica delle donne in Afghanistan, sintetizzata dalla quattro volte Premio Oscar con un paragone estremo quanto reale. Dice Meryl Streep: “Oggi a Kabul una gatta ha più libertà di una donna” e che persino “lo scoiattolo ha più diritti di una ragazza in Afghanistan oggi”. Donne che per vent’anni hanno vissuto una libertà oggi soppressa dal regime della “shari’a” tornato al potere dopo la scellerata ritirata voluta da Biden e difesa ancora oggi da Harris. Donne delle quali si preferisce non parlare, perché svelerebbero una debolezza intrinseca alla narrazione privilegiata della sinistra americana, che ha scelto di chiudere gli occhi e non vedere quello che accade in Afghanistan, come se i diritti di quelle donne non avessero valore.

Kamala Harris e le armi

Cortocircuito etico e anche ideologico, perché quel ritiro pesa sulle spalle dell’Amministrazione Biden e inevitabilmente sui democratici, come Trump e il coro repubblicano non mancano di ricordare ogni giorno. La sinistra americana, quelle delle coste, delle élite, dei talk show vive nell’illusione di essere megafono dei diritti degli ultimi e degli emarginati, attività che spesso si limita ai soli profili social. Situazione che produce silenzio e perplessità. Meglio non parlarne. Così come appare incomprensibile lo shock provocato dalle parole di Kamala Harris la quale si è detta “proprietaria di armi” e pronta a “colpire” chiunque entri in casa sua. Frase che, se pronunciata vent’anni fa da un candidato democratico, non avrebbe meritato nessuna particolare attenzione.

Allora cos’è successo? Cosa provoca tanto “stupore” aristotelico? Il conflitto tra realtà e utopia, che pervade la sinistra americana e la porta a contorcersi su sé stessa. Non è la prima volta, successe già, quando Lyndon Johnson da Presidente democratico decise che era giunto il momento di chiudere la pagina drammatica della segregazione, lo fece rischiando tutto, squarciando il velo dell’ipocrisia e perdendo il “sud per una generazione” e oggi sappiamo che la sua previsione fu molto ottimistica.