Il libro di Gianluca Passarelli Presidenti della Repubblica, appena edito da Giappichelli, si compone soprattutto di una serie di ritratti ben elaborati, secondo i filtri metodologici della scienza della politica, degli inquilini che si sono succeduti al Quirinale. La competizione per il Colle è tradizionalmente caratterizzata da lotte fratricide e candidature dissimulate, premette in modo giornalisticamente brillante Eva Giovannini, a partire dall’episodio del 2013, con la bocciatura di Marini e Prodi e col discorso di Napolitano rieletto che i parlamentari applaudivano senza capirlo fino in fondo o, forse, facendo finta di non capirlo.

I singoli ritratti sono preceduti da una parte introduttiva dell’Autore che inquadra la figura del capo dello Stato a partire dalle particolari modalità di elezione. In particolare Passarelli richiama l’importanza decisiva del voto segreto, a cui non siamo più di tanto abituati perché nell’ordinaria vita parlamentare, almeno dal 1988, siamo soliti confrontarci con prevedibili votazioni di tipo palese. Anche dopo quella riforma regolamentare, però, il voto segreto è rimasto obbligatorio per l’elezione di persone, rispetto alle quali massima deve essere la libertà dell’elettore, soprattutto per le istituzioni di garanzia, presidente della Repubblica e giudici costituzionali. La larghissima convergenza sull’elezione indiretta, come ben spiega l’Autore, non era scontata all’inizio della Costituente, ma lo divenne, in forma di garanzia reciproca, dopo la crisi di governo della primavera 1947 lungo la linea di frattura della Guerra fredda, con un ruolo decisivo del presidente del Consiglio De Gasperi (p. 3), a testimonianza di come sia palesemente erronea l’immagine di un governo distante dai lavori della Costituente, pur costruita con l’intento positivo di sedimentare il consenso sulla Carta.

Tutte le principali decisioni della Costituente sulla Seconda parte furono rigorosamente e altamente politiche, e derivanti da una lettura puntuale del contesto lacerato di allora. Passarelli passa quindi alle caratteristiche che portano all’elezione, indagando sulle regolarità e sulle discontinuità tra i vari inquilini del Quirinale. Quale la sintesi? Che si tratta di uomini, per lo più anziani, non leader politici di primo piano in termini di Governo, con cariche istituzionali importanti e prestigio internazionale (p. 12). Non si può però non rilevare uno scarto tra i ritratti dei primi Presidenti, interventisti in fasi limitate e comunque reversibili, col periodo che segna lo spartiacque del sistema del partiti, il 1989, e che ricompone la frattura del 1947. Non a caso Passarelli ci descrive la presidenza Cossiga come segnata da una discontinuità interna pre e post-1989, come se si trattasse di due persone diverse perché, al netto di caratteristiche personali, erano state messe in discussione le fratture del sistema dei partiti ed era immaginabile una ricomposizione su basi diverse (p. 56 e ancor più p. 58).

Anche per questo, forse, si trattò di un Presidenza non del tutto compresa allora in alcuni sui slanci positivi, come il messaggio sulle riforme costituzionali del 1991. Che quello sia stato il punto di passaggio chiave, con un indebolimento strutturale del sistema dei partiti, solo debolmente arginato sul piano nazionale dalla riforma elettorale a Costituzione invariata, e quindi con un Presidente stabilmente più interventista, lo dimostra il suo successore Scalfaro, che pur l’aveva ampiamente criticato. Interventismo significa anche, almeno potenzialmente, entrare in scelte opinabili, in particolar modo sul potere di scioglimento anticipato, ed esporsi di più alla polemica politica di chi se ne senta danneggiato, come accadde appunto a Scalfaro col centrodestra (p. 65).

Ancor più dopo il fallimento del referendum costituzionale del 2016, che puntava a chiudere la transizione lungo l’asse maggioranza parlamentare (ed elettorale)-Governo-Presidente del Consiglio, questa linea di tendenza è stata ampiamente confermata, come dimostrato in particolare da uno dei momenti chiave del settennato, il rifiuto della nomina di Paolo Savona all’Economia nel Conte I in quanto autore di un piano di uscita surrettizia dall’Euro (p. 84). Nella parte finale, dopo i ritratti, Passarelli affronta la questione della possibile rielezione e anche qui la collega in modo stretto alla forza del sistema dei partiti: quando esso era strutturato i vertici delle forze politiche riuscivano a escluderla nonostante che tutti gli uscenti abbiano provato a perseguire quella strada; una volta imboccata la strada della destrutturazione sono essi che invece finiscono per chiederla a capi di Stato riluttanti (pp. 96-97). Con Napolitano la ottennero, vedremo stavolta.