1) Incomprensibili le resistenze alla eventuale candidatura di Mario Draghi al Quirinale. Per evitarla si ricorre ad argomenti francamente imbarazzanti. Lasciamo perdere il delirio di D’Alema che «bolla il governo guidato da Mario Draghi come una sospensione della democrazia, subordinato alla grande finanza internazionale». Andiamo alle cose serie. L’argomento principe per dichiararsi contro la elezione di Draghi al Quirinale è che essa condurrebbe allo scioglimento delle Camere. In realtà è vero il contrario. Se ci si divide nel voto per il presidente della Repubblica la maggioranza che regge il governo è destinata a implodere e la legislatura a interrompersi. Draghi, allo stato, appare l’unico candidato su cui i partiti che sorreggono il governo potrebbero convergere. Altre candidature, a partire dalla quarta votazione, su un fronte o sull’altro potrebbero spuntarla per il rotto della cuffia ma produrrebbero una lacerazione insanabile, in quel caso il voto anticipato sarebbe inevitabile. Si tratta di un ragionamento talmente evidente e chiaro che dovrebbe essere inteso da tutti. A quanto pare non è così.

2) Veniamo alla seconda obiezione. Si sostiene che sia indispensabile che Draghi resti a Palazzo Chigi ancora un anno, fino al 2023. Contrariamente ad alcuni sostengo che nella famosa conferenza stampa del 23 dicembre il presidente del Consiglio non abbia avanzato la propria candidatura al Quirinale. Egli ha evitato di “dichiararsi estraneo alla scelta politica imminente”. Avrebbe forse dovuto proclamare la propria indisponibilità? Ma via! Occorre dirsi la verità sgombrando il campo dalle ipocrisie. Nei mesi che precedono le elezioni, tra partiti unicamente interessati a conquistare ad ogni costo visibilità, l’azione del governo perderebbe smalto, il logoramento già in atto da alcune settimane continuerebbe, a pagarne le conseguenze sarebbe il presidente del Consiglio lasciato a Palazzo Chigi a cuocere a fuoco lento in una maggioranza ormai virtuale. Non solo.

Con le elezioni del 2023, qualunque sia lo schieramento a prevalere, alla guida del governo non tornerebbe Mario Draghi che uscirebbe di scena, fuori dal Quirinale e da Palazzo Chigi. L’Italia si priverebbe così, per responsabilità della ambiguità e della ignavia dei partiti, di una personalità il cui valore è riconosciuto ovunque, che ha rimesso in carreggiata il Paese dopo i guasti dei populisti al governo. Questo si vuole? Liberarsi di una figura non disponibile alle pratiche correnti di partiti di cui è evidente la inconsistenza programmatica e la perdita di qualità? Se in questa direzione evolvessero le cose, l’Italia pagherebbe un prezzo salato in Europa e sui mercati. Una tale drammatica involuzione della situazione politica è considerata dai dirigenti del Pd? La verità è che il Pd avrebbe dovuto parlare chiaro circa il valore della candidatura Draghi al Quirinale fin dal primo momento.

3) Draghi al Quirinale resta la scelta che meglio consentirebbe all’Italia di affrontare le asprezze interne e internazionali dei prossimi anni. Se si liberasse di ristrettezze provinciali e chiusure ideologiche dovrebbe intenderlo anche il centro destra. Draghi presidente della Repubblica ridurrebbe le preoccupazioni che la candidatura del centro destra al governo del Paese suscita circa la coerenza con lo storico profilo europeista e atlantico dell’Italia. Non solo. Dinanzi ad una candidatura di Mario Draghi, proposta senza ambiguità dal centro sinistra, lo stesso Silvio Berlusconi, al di là delle sue legittime ambizioni quirinalizie, uomo non digiuno di politica, potrebbe valutare il ritiro della propria candidatura comportandosi, scrive Franco Debenedetti, «come colui che pur avendo i numeri per provare a vincere, vi rinuncia per spianare la strada a quello che anch’egli in cuor suo deve riconoscere essere la scelta migliore per il Paese».

In quanto al centro sinistra credo tocchi al Pd fare fino in fondo la propria parte di perno della stabilità democratica e politica del Paese. Persuadere il capo politico di 5Stelle a sostenere la elezione di Mario Draghi al Quirinale (rinunciando alla disastrosa e velleitaria tentazione di ridimensionarlo), invitare il centro destra a muovere in questa direzione, concordando tra i due schieramenti la alternativa a Palazzo Chigi. Concordandola senza preclusioni e senza escludere che, presidente del Consiglio per l’anno che separa dal voto, possa essere una figura espressa dal centro destra. Unica condizione che sia affidabile dal punto di vista della continuità con il lavoro del governo Draghi. La operazione è per tanti aspetti delicata, difficile da condurre ma al punto cui è giunta la situazione mi pare l’unica: Hic Rhodus hic salta.

4) Un’ultima osservazione: dovrebbe essere chiaro ad Enrico Letta che l’alternativa alla elezione di Draghi sarebbe lo scontro lacerante nel voto per il Quirinale ed elezioni anticipate in un clima di rissa e di esasperazione con conseguenze gravi per la situazione del Paese alle prese ancora con la pandemia e per il rapporto con l’Europa. So bene che non tutto dipende dal Pd ma certamente molto dipende dal modo in cui il Pd affronterà la partita del Quirinale. Non vorrei che, per descrivere quanto sta accadendo, si dovesse ricorrere, parafrasandola, ad una frase storica: potevano scegliere tra Draghi e il caos, non hanno scelto Draghi e avranno il caos.