La settimana che doveva essere decisiva rischia di essere l’ennesima che vede incrociarsi tattiche e pretattiche, con l’identikit del tredicesimo presidente della Repubblica destinato a restare ancora avvolto nella nebbia. Nel gioco del “fai tu il primo passo che poi arrivo io” lo stallo blocca pedine e kingmaker. La morte improvvisa e drammatica di David Sassoli gioca un suo ruolo. I funerali del presidente del Parlamento europeo e la commemorazione a Strasburgo (sarà Enrico Letta a prendere la parola) hanno fatto sconvocare la plenaria e la direzione del Pd fissati per domani. Il segretario del Pd Enrico Letta, amico personale di Sassoli così come tanti, praticamente tutti i parlamentari Pd, ha deciso di non turbare il momento delle esequie e dei ricordi con il confronto sul Quirinale. Che può attendere.

La riunione probabilmente non sarebbe stata decisiva ma certo avrebbe dato quelle regole d’ingaggio necessarie per affrontare le chiame presidenziali. Tutto rinviato. Nel Pd e nel centrosinistra, Movimento 5 Stelle compreso che – almeno stando alle indicazioni di Giuseppe Conte – ha deciso di giocare la partita con il Nazareno per riuscire a contare di più tra i Grandi Elettori. La linea però sarebbe decisa: i numeri dicono che tocca al centrodestra indicare il candidato Presidente, e allora lo faccia, dia una rosa di nomi ma tra questi non ci può essere Berlusconi. Il quale è arrivato ieri pomeriggio a Villa Grande, la residenza romana lungo l’Appia antica. Qui resterà a dirigere le operazioni fino a che non sarà stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica. L’intenzione era quella di attendere le mosse del Nazareno prima di sciogliere le riserve sulla candidatura ufficiale del Cavaliere. Il rinvio in casa Pd fa slittare ogni decisione anche in Forza Italia e nel centrodestra che almeno ufficiosamente resta compatto sul nome di Berlusconi. Perché una cosa non è accettabile dalle parti del centrodestra: il veto assoluto sul nome del Cavaliere. Così Berlusconi ha sganciato la bomba lunedì pomeriggio poco prima che Draghi iniziasse la conferenza stampa: “Se va al Quirinale, Forza Italia lascia la maggioranza”. Cioè crisi di governo, l’unico scenario che i parlamentari non possono accettare.

A parte i veti reciproci, mancano le proposte vere. Difficile che da villa Grande arrivi in settimana qualche indicazione ufficiale, né con un videomessaggio né dopo un vertice di maggioranza che difficilmente sarà convocato. In compenso ieri sera erano a cena i capigruppo della coalizione. I presenti parlano di un “grande ottimismo sui numeri”. Ne servono 671 nelle prime tre votazioni e 505 in quelle a seguire. E a questo punto Berlusconi vorrebbe tentare la scalata al Colle. Fin qui l’ufficialità. Ormai anche un po’ lisa. Nello stallo della realtà, trovano agio le tattiche. E le pretattiche. Che portano ai soliti quattro nomi: il bis di Mattarella; Mario Draghi; Silvio Berlusconi e Giuliano Amato.
Ieri tra Camera e Senato, dove Mario Draghi è arrivato per commemorare Sassoli in un Parlamento che nel ricordo ha ritrovato solennità e unità, è tornato a crescere il Mattarella bis. La conferenza stampa di lunedì ha corretto certe accelerazioni di quella del 22 dicembre che hanno gettato scompiglio nei partiti. Draghi ha parlato da presidente del Consiglio che sa di avere un’agenda impegnativa davanti ma non ha fatto alcun passo di lato rispetto al Quirinale. Ha ributtato la palla nel campo dei Grandi Elettori: fate voi, decidete voi. Ora forse l’unica condizione per cui Draghi può restare “volentieri” a palazzo Chigi è il ticket con Mattarella alla cui chiamata ha deciso di rispondere undici mesi fa.

“Sta crescendo il bis di Mattarella”, diceva ieri una fonte di governo. E molti deputati di area centrosinistra sottolineavano il passaggio di un’intervista di Enrico Letta: «Il giorno in cui Mattarella lasciasse il Quirinale sarei un po’ triste». Che letto insieme ad altri passaggi – “serve condivisione perché nessuno ha i numeri” – spingono i tifosi del Mattarella bis a pensare positivo. Tifosi che sono più di quanto si possa immaginare, tra le file Pd, tra i 5 Stelle e anche nel 113 del gruppo Misto senza padroni. «È il ticket che ha iniziato il lavoro di portarci fuori dalla pandemia ed è giusto che sia lo stesso ticket a concludere la missione». Bisogna vedere cosa ne pensa il centrodestra a cui certamente piace l’idea di Draghi alla guida del governo. Poi c’è la trattativa segreta. Come tutte. Ma questa sarebbe ancora più segreta di altre. Presto per dire se sarà anche la più vera. Lo schema sarebbe il seguente: Draghi al Quirinale, Franceschini a palazzo Chigi con Giorgetti o Salvini vicepremier per non far uscire la Lega che ha detto e ripetuto in più occasioni di “non aver alcuna intenzione di lasciare la maggioranza”. In alternativa – scenario decisamente più probabile – si andrebbe verso una maggioranza Ursula (come quella che guida la Commissione Ue, Ppe e Pse insieme) con dentro almeno un pezzo di Forza Italia, quella che guarda al centro e che non ha alcuna intenzione di morire salviniana o meloniana. Nel pacchetto ci sarebbe anche la legge elettorale di tipo proporzionale, anche perché a quel punto il centrodestra non ci sarebbe più. Al suo posto una destra guidata da Salvini e Meloni.

È il piano di Matteo Renzi a cui starebbero lavorando anche Letta nipote (Enrico) e Letta zio (Gianni). Berlusconi è ovviamente contrario perché sarebbe la sconfitta del suo Piano A (diventare Capo dello Stato) e anche del Piano B, contare i suoi voti fino alla terza votazione e poi metterli a disposizione di un candidato di cui sarebbe il vero kingmaker (Giuliano Amato?). “Matteo (Renzi, ndr) sta provando a fare un nuovo governo, politico” corre voce anche nel centrodestra. Il Piano avrebbe un secondo punto qualificante: l’accordo per una legge elettorale di tipo proporzionale, elemento irrinunciabile per far nascer quella nuova forza di centro che nella testa di Renzi e non solo sarebbe il mondo nuovo destinato a nascere dalle ceneri del vecchio mondo bipolare per opera delle forze populiste e antieuropeiste.

Nelle more del grande stallo, dalle parti del Nazareno si starebbe pensando a un gioco di rimessa. Per prendere altro tempo. Visto che il centrodestra dice di restare su Berlusconi, lo facciano pure. Però da soli. Nel senso che il centrosinistra, 5 stelle compresi, starebbe pensando di non votare nelle prime tre votazioni. Di uscire dall’aula. Un modo anche di evitare che qualche Grande elettore pensi di giocare qualche scherzo nel segreto dell’urna. Lo stallo continuerebbe così fino al 27 gennaio compreso. Se ne riparla dalla quarta votazione, messi in fila voti e pallottoliere. E, nell’angolo, i franchi tiratori,

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.