A Cernobbio il capitano con la camicia verde e la signora in nero si sono ripresentati agli elettori come “i promessi sposi” e già prenotano in condominio la dimora di Palazzo Chigi. Il rischio della destra sovranpopulista non è stato affatto azzerato con le prove di decisionismo di un governo autorevole che opera con efficacia nel favorire l’espansione dell’economia ma sopravvive nella estrema debolezza del quadro politico.

Ogni tanto nei grandi giornali si affermano delle leggende interpretative che diventano luoghi comuni indiscutibili per cui scalzarli diventa impossibile. L’ultima favola racconta che il governo Draghi funziona molto bene ma solo perché non ci sono più i partiti a disturbare il manovratore. Che lo iato tra governo e partiti sia divenuto enorme è un semplice dato di fatto. Che questo fossato sia anche un bene è però l’ennesimo frutto avvelenato di una pervicace illusione antipolitica. Basta un’occhiata a Blob per cogliere il senso della sproporzione anche visiva creatasi tra politica e governo. Da una parte scorrono le immagini del premier che con poche e definitive parole strapazza Salvini, disarma i cattivi filosofi civettuoli con i campioni del no vax. E dall’altra passano le riprese che sembrano venire da un repertorio in bianco e nero che propongono il capitano leghista che canta, Meloni che fa i tortellini. Mentre il governo recupera il principio di realtà, i capi della destra con le loro gesta antiche confermano la persistenza del chiacchiericcio della comunicazione pop.

Sospesi tra anacronismo e futuro che incombe, i leader della destra hanno tutto da guadagnare dalla persistenza del vuoto di azione politica. Solo il prolungamento del vuoto dei partiti assicura a Salvini e Meloni una possibile egemonia a conclusione del governo Draghi. Diceva Gramsci che nelle condizioni di crisi organica, più ancora che i partiti, sono i sindacati a giocare un ruolo chiave nella tenuta delle culture di massa e quindi del tessuto democratico.
È sufficiente scrutare le posizioni di Landini sui vaccini, sul welfare aziendale per registrare una metamorfosi identitaria e concludere che accettare la scommessa di Gramsci sul sindacato come argine essenziale contro il populismo porterebbe fuori strada. Se prima i vertici del sindacalismo erano di sinistra e gli iscritti votavano a destra, ora sembra che questo dualismo sia in via di ricomposizione perché tra capi e iscritti risuonano le medesime corde sovranpopuliste.

Ciò che resta dei partiti non offre una migliore prova. Mentre a Siena il segretario Letta corre con una sigla personale suggerita dai comunicatori, a Primavalle il povero candidato locale è costretto a presentarsi con un simbolo di partito che proprio il leader abbandona perché percepito come poco competitivo. La regressione ideologica del sindacato, lo sbandamento culturale del Pd che adotta una strategia differente in ogni collegio sono dei fattori che inquinano lo spazio pubblico e favoriscono la fuga verso destra. E questo vuoto politico e sociale non è affatto un elemento positivo che rafforza il governo. Non esiste alcun buon governo che può tollerare a lungo l’assenza di mediazioni politiche, la mancanza di soggetti organizzati per la costruzione del consenso sociale. Il rischio che dopo il breve tempo del buon governo tornino i tempi lunghi della chiacchiera populista è connesso proprio alla carenza di strategia politica. Nessun consolidamento democratico è possibile se non si ristruttura un sistema dei partiti che è altra cosa dalle inutili passeggiate delle stanche Agorà.

C’è poca vita a sinistra, completamente afono è diventato il Pd alle prese con l’equivoco tattico gettato in campo dal loquace stratega Bettini che sollecita Letta a dire che «questo governo non è il nostro governo». Non inganni la momentanea situazione di vantaggio che sembra premiare Draghi nella posizione dell’Asino di Buridano che può scegliere tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Nel giro di un anno, e anche meno, ogni cosa in apparenza adesso così solida rischia di sciogliersi e nel pantano liquido potrebbe ritrovarsi in un solo momento senza lo scettro del governo e senza le chiavi della presidenza della repubblica. Ora che a distribuire dei liberatori ceffoni a Salvini e Meloni riesce con una straordinaria ed elegante efficacia, Draghi dovrebbe fare un pensiero alla maniera più incisiva per la costruzione della leadership politica in grado di occupare un vuoto preoccupante. Certo, in tempi di populismo accade sovente che il popolo, come spiegava Machiavelli, si lasci ingannare da false idee di bene. E però, dinanzi a un governo riconosciuto come prestigioso ed efficace, è poco probabile che l’elettore scelga deliberatamente di precipitare verso il peggio.

Nel vuoto assoluto di visione politica riscontrabile nel centro sinistra non è azzardata l’aspettativa che proprio a Draghi tocchi quanto prima l’onere di far saltare, con una offerta politica inclusiva, i piani dei promessi sposi di Cernobbio. Le raccomandazioni di Bettini di far saltare al più presto tutto l’equilibrio esistente, mandando Draghi al Colle pur di affidarsi alla coppia Conte-Letta per sconfiggere nelle urne anticipate il duo Salvini-Meloni, somigliano più a istigazioni al suicidio che a una tattica politica luciferina e però nella sua spietata crudezza garanzia di vittoria.