Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, dirigente di buone letture e freschezza intellettuale, non è uno che gira attorno ai problemi. Caustica la sua risposta sul congresso invocato da importanti esponenti dem: «Nessun timore, ma a me basterebbe avere un partito».

Dopo il flop clamoroso sul blocco dei treni l’onda No vax sembra rifluire almeno nelle sue manifestazioni plateali e violente anche se restano milioni gli italiani che per ragioni diverse rifiutano il vaccino e molti quelli che polemizzano duramente col Green pass. Draghi pare aver scelto la linea dura, estendere il certificato vaccinale senza escludere il ricorso all’obbligo. Letta ha giurato sostegno pieno alla linea del governo, possiamo dire che almeno sulla lotta al Covid nel Pd siete tutti uniti?
Sì, possiamo dirlo, poi spero che l’unità non si limiti a quello. Sul punto starei al merito. Crescono in percentuale i contagi e nonostante ciò diminuiscono ricoveri e decessi, il che non è una gentile concessione del virus, ma solo l’effetto del vaccino. Come ci viene ripetuto da mesi, più persone sono vaccinate meno opportunità ha la pandemia di costringerci a una quarta o quinta ondata. Detto ciò sappiamo anche che con ogni probabilità le varianti non sono finite, che potranno essere anche più contagiose della Delta, cioè con questo virus dovremo convivere ancora per un tratto e questo rende necessario un terzo richiamo appena annunciato dal ministro almeno per alcune categorie fragili, oltre a una cautela e monitoraggio costanti. Nessuna violazione delle libertà personali come continuano a ripetere alcuni, semplicemente la strategia di contenimento e riduzione del virus, esattamente il compito prioritario di un governo. Allora, una volta messi in fila questi elementi delle due l’una: o ti vaccini o in una serie di contesti e ambienti sociali e lavorativi non puoi andare perché se lo fai metti a repentaglio la salute tua e quella degli altri. Non so, a me pare puro buon senso, ma sul concetto forse vale ancora l’aforisma manzoniano.

D’accordo, ma sul Green pass affiorano dubbi anche da ambienti non sospettabili di flirtare a destra o coi no vax, penso a qualche perplessità sul fronte sindacale e soprattutto ai malumori dentro la maggioranza in un pezzo della Lega.
Ho letto il sondaggio di Diamanti su Repubblica, oltre l’80 per cento dei cittadini è favorevole al certificato, la totalità di chi vota Pd ma pure una netta maggioranza di chi sceglie la Lega o Fratelli d’Italia a conferma che l’idea della destra di lucrare qualche voto cavalcando posizioni irresponsabili non paga neppure su quel fronte a meno che la competizione tra Salvini e Meloni, al netto dei selfie di Cernobbio, non scenda a un livello che francamente neppure la destra italiana meriterebbe. Il tema è lo stesso da mesi: togliere dal tavolo l’idea che vi sia una volontà punitiva o persecutoria verso gli italiani o parte di essi. Vede, io ho rispetto per interrogativi anche profondi di ordine filosofico e del diritto e coi dubbi espressi da Cacciari o Freccero ho anche provato a interloquire, ma tutt’altra cosa è assistere a un pezzo della destra, di lotta e di governo, che tiene il piede un po’ di qua e un po’ di là. Oggi strizza l’occhio alle piazze dei ristoratori e domani vota i provvedimenti del consiglio dei Ministri. Una Lega che alla Camera in commissione si mette di traverso sul Green pass salvo parlare di un equivoco coll’argomento che non lasciano Draghi ostaggio della sinistra. Mi pare un teatrino senza senso, la verità è che Salvini è stretto tra la Meloni che lo supera nei sondaggi e i suoi governatori al Nord che, se possibile, vorrebbero regole più stringenti perché sanno benissimo che un altro stop all’economia sarebbe esiziale.

Però sull’ipotesi di introdurre l’obbligo vaccinale al momento la Lega si mostra compatta sulla linea del No.
Appunto, al momento, poi vedremo. Ma anche qui come si fa a non partire dal merito? L’obbligo limitato ad alcune categorie – medici, infermieri, personale sanitario – esiste già, lo ha introdotto un decreto del primo aprile. In quella scelta non c’è alcuno strappo costituzionale perché l’articolo 32 tutela il diritto alla salute come interesse della collettività e aggiunge che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario “se non per disposizione di legge”. Se ho capito la logica di Draghi è allargare le maglie del Green pass così da raggiungere entro metà ottobre una copertura tra l’85 e il 90 per cento della popolazione vaccinata. A quel punto si dovrà valutare se ricorrano le esigenze per estendere l’obbligo anche ad altre categorie sulla falsariga di quanto deciso sul versante sanitario, soluzione rispetto alla quale io sono completamente d’accordo. Per farlo serviranno comunque un decreto o una legge e prima di allora Ema e Aifa, le due agenzie europea e italiana, dovranno dichiarare il vaccino farmaco non più emergenziale ma ordinario. Insomma, non è che domattina si mandano due infermieri e tre carabinieri a casa dei no vax, li si lega alla sedia e gli si inocula Pfizer. Si tratta di procedere per gradi con l’unico obiettivo di mettere in sicurezza sessanta, o quanti sono, milioni di cittadini con una cura particolare per le categorie fragili e a rischio.

Dovessimo arrivare lì resta il nodo di come gestire chi dovesse comunque rifiutare il vaccino?
E allora scatteranno delle sanzioni, tendo a escludere di carattere penale, ma amministrativo con multe anche salate, la possibile sospensione dal lavoro, il divieto a frequentare tutta una serie di luoghi e attività. Se vuoi guidare la macchina devi prendere la patente. Se vuoi preservare la tua libertà assoluta di movimento, lavoro, socialità devi vaccinarti.

Salvini replica che l’obbligo ce l’hanno solo in Turkmenistan e Indonesia, non proprio modelli di democrazia.
Se è per rassicurarlo, nell’Ungheria del suo amico Orban è previsto per il personale sanitario come da noi e in Grecia. In Francia per i vigili del fuoco e chi lavora a contatto con persone fragili. Boris Johnson dovrebbe introdurlo dal prossimo mese per chi opera nelle case di cura.

Veniamo a un tema più di “bottega”, Letta ha deciso di presentarsi alle suppletive di Siena senza il simbolo del Pd? La considera una rinuncia o una prova di apertura?
La seconda che ha detto. Guardi, io capisco che si debba far polemica su tutto però bisognerebbe fissare un argine. Enrico si candida in un collegio uninominale, vuol dire che l’esito è secco, chi prende un voto in più risulta eletto. In questa logica si cerca di costruire attorno alla candidatura l’arco più ampio di forze, sigle, movimenti da impegnare nella sfida. La scelta di un simbolo nel quale in tanti possano riconoscersi è solo il modo per rendere evidente questa convergenza. Il Pd da solo, lì come altrove, non bastava e non basta e dirlo a voce e anche graficamente lo considero un atto di onestà o, come dice lei, di apertura.

Allora si sbilanci, pronostici alla mano quel collegio Letta lo vince? Perché ha dichiarato che se perde lascia la segreteria.
Certo che vincerà. Perché dietro a lui ci sono un partito e un campo di forze compatti e poi perché è una persona seria che conosce il peso delle parole. Ma lei si immagina cosa accadrebbe se un leader politico dicesse che dopo una eventuale sconfitta lascerebbe il campo e poi non lo facesse? Una cosa simile è semplicemente impensabile.

Chiudiamo sull’Afghanistan, l’Europa sembra molto timida, per non dire chiusa a riccio, sull’accoglienza dei rifugiati. Possiamo dire che questo si preannuncia come il vero tradimento?
Lei dice chiudiamo, ma su quella tragedia avremmo dovuto aprire e soffermarci a lungo. Abbiamo passato i giorni a cavallo di ferragosto rimbalzando tra formule apocalittiche: disfatta dell’Occidente, catastrofe, débâcle, tragico errore. Giorni su giorni a sentirci ripetere il parallelo tra i due elicotteri americani sul tetto delle ambasciate di Saigon e Kabul. Lacrime e fiumi di indignazione dinanzi alle madri che passavano le loro creature ai soldati britannici perché le portassero in salvo. Una capitolazione militare, politica, morale, di questo si è trattato. In uno slancio di sincerità Angela Merkel ha detto “Abbiamo sbagliato tutto”. Ecco, almeno sarebbe un dovere dell’Europa non sbagliare ancora. Adesso la priorità è accogliere chi fugge e dobbiamo farlo per non trasformare una sconfitta politica e militare in una disfatta morale. In questo senso aiutare e ricollocare i profughi afghani è l’unico ancoraggio rimasto alle nostre democrazie se vogliamo recuperare una funzione politica. Quanto al dialogo col nuovo regime, è vero, la storia è fatta di patti coi nemici ed è evidente che in quella partita, “Il grande gioco” come la chiama Peter Hopkirk in un libro straordinario che riprende la vecchia formula di Kipling, in quella partita dicevo avranno un peso decisivo i paesi confinanti, ma l’Europa, sempre che un’Europa abbia forza e volontà per esprimersi, dovrebbe interloquire con le principali potenze e coi governi della Regione per evitare il precipitare in una teocrazia che faccia di nuovo strage dei diritti umani a partire da quelli delle donne.

Un’ultima domanda, Lotti, Guerini, Bonaccini vogliono avere il congresso. Lei è d’accordo?
Non ho timori anche se io ho un’ambizione più modesta, mi basterebbe avere un Partito.

 

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.