Sul piano politico e istituzionale sembra proprio che questo inizio di anno stia preparando al paese la “tempesta perfetta”. Da un lato, sul versante del governo, assistiamo a giorni drammatici: la situazione pandemica si presenta in termini ancora una volta inediti. Gli effetti della variante Omicron hanno travolto le poche certezze che si avevano nella strategia di contrasto. Il governo è dovuto ancora una volta correre ai ripari, ma quello che succederà effettivamente è imprevedibile e avvolto dal mistero. Nessuno può dire se e quando occorrerà intervenire nuovamente e magari cambiare radicalmente strategia. Dall’altro, la fibrillazione politica non potrebbe essere maggiore in vista dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La tempesta perfetta sta nel possibile cortocircuito tra i due aspetti.

L’emergenza sanitaria ha, infatti, due ricadute sulla vita istituzionale. La prima riguarda le dinamiche interne alla maggioranza proprio sul tema di come fronteggiare la crisi. Più le scelte diventano drammatiche, più le tensioni rischiano di aumentare, con evidenti effetti sulla stabilità politica, ma anche sugli atteggiamenti dei partiti rispetto alla partita del Quirinale. In secondo luogo, il dilagare dei contagi non risparmia gli elettori del Presidente della Repubblica, la cui immunità è solo giuridica, ma non anche sanitaria. A ciò si aggiunga che la convocazione del Parlamento in seduta comune per il 24 gennaio da parte del Presidente Fico, non esclude, sulla carta, che le procedure elettorali possano protrarsi oltre la data di scadenza del mandato di Mattarella. Una situazione inedita nella storia repubblicana. Così come, inedita, sarebbe la situazione del governo nel caso in cui ad essere eletto al Quirinale fosse Draghi.

Mettere ordine in questo guazzabuglio di problemi non è facile, come dimostra anche il dibattito tra i costituzionalisti. Né si può contare, al momento, su una chiara strategia delle forze politiche. Se ci fosse ad esempio un’ampia convergenza sul nome del nuovo Presidente alcuni problemi potrebbero essere attenuati, se non risolti. Ma dalla politica non giungono segnali tranquillizzanti. Tutti sembrano navigare a vista, anche perché la previsione del voto segreto per l’elezione del Capo dello Stato esclude, in diritto e in fatto, un controllo dei vertici dei partiti e dei gruppi parlamentari sul comportamento dei propri membri. Anzi, da più parti emergono segnali di spaccature, che fanno immaginare più probabile il dispiegarsi, nel segreto dell’urna, di una logica correntizia o fazionistica, piuttosto che di orientamenti unitari. Le avvisaglie sono più che concrete, senza necessità di fare nomi e cognomi. Sul piano del diritto non può e non deve essere un problema insormontabile quello della possibilità di partecipazione alla votazione dei parlamentari in quarantena. Fatti salvi gli impedimenti di chi sia fisicamente impossibilitato, anche per ragioni di salute a partecipare alla riunione (evenienza che si è sempre verificata) non è pensabile che non venga trovata una soluzione per coloro per i quali è prevista una restrizione dovuta al solo fatto di essere sottoposti a quarantena.

Del resto sarebbe paradossale, ad esempio, che sia consentito a un “positivo” di uscire di casa per sottoporsi a un tampone di verifica della permanenza della positività e non si possa consentire a un elettore del Capo dello Stato di recarsi a votare. Il problema è essenzialmente pratico e organizzativo, attesa la circostanza che il Parlamento in seduta comune è, nel caso dell’elezione del Presidente della Repubblica, un mero seggio elettorale, in cui non si svolgono discussioni. Dovremmo pertanto essere certi e tranquilli che una soluzione pratica verrà trovata dall’amministrazione parlamentare che non difetta certo di efficienza e pragmatismo. Quanto al problema del protrarsi delle votazioni oltre la scadenza del mandato di Mattarella, il diritto costituzionale offre già una soluzione: prorogatio del Capo dello Stato uscente ovvero, nel caso di sue dimissioni, supplenza del presidente del Senato (art. 86 cost.). Entrambe le soluzioni sono costituzionalmente ineccepibili. La questione è solo nelle mani dell’interessato (il Presidente uscente) e dunque sul punto si può solo rispettosamente tacere. Più articolata, ma evidentemente non insolubile, è la questione del destino del governo in caso di elezione del Presidente Draghi a Capo dello Stato.

Sul punto bisogna tenere distinti due aspetti. La prima questione è cosa accadrebbe se il Presidente Draghi fosse eletto prima della scadenza di Mattarella e, per ragioni anche istituzionalmente del tutto giustificabili che non è possibile approfondire qui, quest’ultimo non ritenesse di procedere immediatamente a quelle che nella storia repubblicana sono state chiamate anticipate “dimissioni di cortesia”. Per quanto tale periodo sarebbe breve, non vi sono dubbi che ragioni quantomeno di opportunità istituzionale spingerebbero il Presidente del Consiglio a rassegnare immediatamente le dimissioni. Dimissioni che, però, non ne determinerebbero la decadenza e la fine del Governo, in quanto quest’ultimo dovrebbe comunque garantire il disbrigo degli affari correnti fino all’insediamento del nuovo Presidente del Consiglio e del nuovo esecutivo. In una tale ipotesi, allora, potrebbe – forse – trovare applicazione il disposto dell’art. 8 della legge sulla Presidenza del consiglio (art. 400/1988) che consente la supplenza, nel nostro caso, al Ministro più anziano nell’ipotesi di “assenza” (o impedimento) del Presidente del Consiglio.

Ma cosa succederebbe invece nel momento in cui Draghi giurasse come Presidente e, dunque, divenisse incompatibile con qualsiasi altra carica (art. 84 Cost.)? In questo caso si dovrebbe ritenere che si determini una condizione di decadenza, con la conseguenza che Draghi non potrebbe presiedere il Consiglio dei Ministri nemmeno per la gestione dell’ordinaria amministrazione. Che ne sarebbe allora del Governo? Purtroppo la legge sulla Presidenza del Consiglio non disciplina questo caso, come non disciplina quello di impedimento permanente o di morte del Presidente del Consiglio. In dottrina (Olivetti) sono state esaminate due ipotesi. La prima è quella di applicare comunque analogicamente la disciplina della supplenza del Ministro più anziano. La seconda, preferita da tale autore, anche sulla base di precedenti dell’epoca statutaria, sarebbe quella della nomina di un Presidente del Consiglio ad interim tra i Ministri in carica.

In ipotesi si potrebbero di fatto associare i due schemi nominando Presidente del Consiglio dei Ministri ad interim il ministro più anziano. Come si vede si tratta di questioni complesse, su cui forse converrà tornare. Quel che è certo è che una soluzione, in questa ipotesi, comunque si troverà. Benché, infatti, a differenza, ad esempio, della Francia, in Italia non ci siano precedenti, non potrebbe immaginarsi che, nel nostro ordinamento, sia impedito al Presidente del Consiglio di essere eletto Capo dello Stato.