Il Governo di Mario Draghi è nato nel febbraio scorso in condizioni molto particolari, anche se non inedite. Il Parlamento, dopo la crisi del Governo Conte 2, non era stato capace di creare una maggioranza in grado di condurre la legislatura alla sua naturale scadenza. Il presidente Mattarella, in una situazione caratterizzata da una violenta pandemia, si è saggiamente rifiutato di sciogliere il Parlamento ed ha chiesto all’ex presidente della Bce di formare un “Governo di nessun colore politico”, col compito di portare avanti la lotta contro la pandemia e di gestire la ripresa dell’economia legata all’utilizzo dei fondi erogati dall’Unione Europea nell’interesse di tutto il paese e non di una parte sola di esso.

In questi mesi, la collaborazione fra i due presidenti e tutti i partiti, che (con l’eccezione di FdI) hanno prima dato fiducia e poi cooperato con il Governo Draghi, ha creato un equilibrio virtuoso che minaccia ora di rompersi.
La decisione, comprensibile e degna di rispetto, da parte di Sergio Mattarella di indisponibilità ad accettare un secondo mandato rischia di minare questo equilibrio. Draghi nella sua conferenza stampa è stato chiaro su un punto. Il suo Governo super partes o meglio di compromesso fra (quasi) tutte le parti, nella misura in cui include forze politiche tradizionalmente opposte e in competizione tra loro, non potrebbe sopravvivere se a sostituire Mattarella dovesse essere nominato alla carica di garante dell’unità nazionale un esponente di una sola parte politica, creando così una spaccatura in seno alla compagine di Governo. Di qui due possibili opzioni, che richiedono entrambe un accordo fra i partiti politici, per lo meno quelli della maggioranza presente.

O questi chiedono a Draghi di prendere il posto di Mattarella. Oppure, preferendo che Draghi resti alla guida del Governo a gestire i rapporti assolutamente cruciali nella situazione presente con i partner dell’Unione Europea, devono essere in grado di scegliere un successore di Mattarella che sia all’altezza del compito svolto da quest’ultimo in modo esemplare, in consonanza con il Primo Ministro e accettato dai partiti che fanno parte del Governo. Nella prima ipotesi, la difficoltà è duplice. Da un lato, i partiti politici e i loro grandi elettori dovrebbero mettersi d’accordo, come accadde nel caso dell’elezione di Carlo Azeglio Ciampi, ed eleggere possibilmente al primo turno Draghi alla Presidenza della Repubblica (il che, dato lo scarso controllo dei partiti sui propri parlamentari e la presenza potenziale di tanti “franchi tiratori” non è agevole. Anche se la dichiarazione di Draghi di escludere nuove elezioni può rincuorare e frenare un po’ questi ultimi). Dall’altro, in questa evenienza, sarebbe comunque necessario trovare chi possa sostituire Draghi a Palazzo Chigi. Se è possibile. E questo non è affatto semplice poiché il ruolo svolto da Draghi è stato eccezionalmente difficile e legato al suo prestigio e alle sue straordinarie competenze, oltre che alla sua reputazione internazionale. Non è vero, anche e soprattutto in questo caso, che “uno vale uno”.

Certo, se il nuovo primo ministro godesse del sostegno e diciamo pure della consulenza di Draghi – senza pensare che l’Italia possa trasformarsi per incanto in un sistema semipresidenziale (definizione superficiale della 5a Repubblica francese) – vi sarebbero le condizioni perché il Governo possa giungere alla scadenza della legislatura. In alternativa a questa prima ipotesi, i partiti, che, come Draghi ha ripetuto più volte nella conferenza stampa, sono i titolari di queste decisioni, dovranno mettersi d’accordo, anche in tal caso, sul nome di un successore di Mattarella che possa essere non solo compatibile con il Governo delle larghe intese che Draghi continuerebbe a dirigere, ma anche con lo stesso alto profilo del suo predecessore. Nei due casi, come si capisce bene, il compito dei partiti politici non è semplice. E tuttavia non vi sono alternative. Una crisi di Governo nel mezzo di una pandemia che non ci lascia e in una fase particolarmente delicata del completamento e della messa in opera del Pnrr sarebbe veramente deleteria e, per certi versi, irresponsabile. Nuove elezioni – che i parlamentari non vogliono e che parecchi partiti sembrano voler evitare – farebbero perdere al paese Italia la buona reputazione che ha acquisito presso i nostri partner (e addirittura da parte di Putin che si rivolge a noi per una mediazione che nessun altro sembra in grado di promuovere) con conseguenze disastrose non solo sull’immagine, ma anche sull’economia, compromettendo la ripresa in atto.

Un ruolo fondamentale in questa fase sarà svolto, che piaccia o meno, dai partiti del centrodestra (che, in questo momento, nel loro insieme, hanno un ruolo decisivo nell’elezione del Presidente della Repubblica), in particolare da quelli che sostengono il Governo Draghi. Si può sperare, al riguardo, che Berlusconi si renda conto che l’idea di terminare la sua carriera politica al Quirinale è irragionevole poiché significherebbe la fine dell’esperienza nata con la decisione di Mattarella di chiedere, per il tempo necessario che è lungi dall’essere esaurito, una tregua fra le parti politiche. Ma la scelta più difficile e in certo senso decisiva è quella che dovrà compiere la Lega. Salvini si trova infatti davanti a una decisione cruciale. Come si sa, è in larga misura anche grazie al partito del Carroccio che è nato il Governo della tregua e dell’unità nazionale diretto da Draghi. Se questi dovesse andare al Colle più alto, Salvini potrebbe obiettare che lui aveva appoggiato il Governo perché diretto da Draghi e che preferisce continuare con quel premier piuttosto che con una “fotocopia”. E, a questo punto, lasciare il Governo e prepararsi alle prossime elezioni con le mani libere. Sperando di recuperare i voti (virtuali, misurati dai sondaggi) che in questi mesi ha perso, anche per effetto della sua partecipazione all’esecutivo e ottenere un buon risultato alle (eventuali) elezioni.

D’altro canto, Salvini stesso sa bene che tale scelta sarebbe, come abbiamo detto, irresponsabile poiché creerebbe un frangente caotico: infatti senza la Lega non sopravvivrebbe più un Governo di unione nazionale e verosimilmente nessun Governo. In una situazione nella quale non ci sarebbe più Mattarella a mandare Draghi dinanzi alle camere per la fiducia. E Salvini se ne sarebbe assunto la responsabilità e ne pagherebbe, forse, le conseguenze. Come si capisce, le difficoltà per trovare una soluzione non traumatica alla fine del magistero presidenziale di Mattarella sono molto grandi. Oltretutto il tempo per la decisione sta per scadere e bisognerà che ci sia un accordo fra i partiti della maggioranza su tutto il pacchetto: il nome del Presidente della Repubblica unitamente agli aspetti più importanti relativi al proseguimento del Governo che è stato diretto da Draghi, se questi non dovesse più guidare la politica del paese da Palazzo Chigi.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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