Letizia Moratti è la carta coperta del centrodestra. Essendo coperta, non può essere confermata e anzi va difesa a colpi di smentite. Ma dove non osano le parole, arrivano i numeri. “Letizia Moratti potrebbe avere i requisiti che portano quei 50 voti che mancano a Silvio Berlusconi. Berlusconi non li trova, lei potrebbe trovarli”.

A compulsare l’abaco delle maggioranze presidenziali possibili è Vittorio Sgarbi, a margine del brindisi di fine anno a Palazzo Lombardia, a Milano. “Moratti potrebbe essere un candidato votato dal gruppo Alternativa C’è. Mi hanno detto – ha aggiunto – che erano pronti a votare un candidato di centrodestra che poteva avere il suo profilo. Secondo me, potrebbe essere. Io ho parlato a lungo con il gruppo Alternativa C’è, sono una trentina. E loro non voterebbero mai Berlusconi, tanto meno Draghi che odiano e tanto meno uno del Pd. Quindi, il loro target è un candidato di centrodestra che abbia caratteristiche come le sue (di Moratti, ndr). Non c’è dubbio che lei potrebbe fare il presidente della Repubblica”.

I numeri ci sarebbero e il tam tam è partito. Il pranzo a Roma con Giorgia Meloni ha rafforzato l’ipotesi che dietro alle dichiarazioni di facciata con cui la coalizione continua ad assicurare il voto a Berlusconi, si sta lavorando a un piano B di più probabile riuscita. Dalle parti del Cavaliere tutto tace. O quasi. Perché una fonte vicina ad Arcore ci fa sapere che Berlusconi, sentito Fontana, avrebbe chiesto a Letizia Moratti di guidare come candidata governatrice la campagna delle regionali 2023, alla riconquista di Palazzo Lombardia. Lei non cade nel tranello. “Voglio pensare al presente”, dice, specificando: “Lavorare con grande attenzione alla sanità regionale”. Gli sherpa della vicepresidente lombarda però sono in azione a Milano come a Roma. Perfino Oltretevere: Monsignor Gianni Fusco, animatore spirituale della potentissima Ucid (Unione cristiana imprenditori e dirigenti), voce molto ascoltata in Vaticano, confida agli amici di vederla benissimo, meglio di chiunque altro, al Quirinale. Walter Lavitola della Moratti non vuole parlare: “Credo che l’unico candidato del centro destra è e sarà l’ex premier.

Va anche considerato che le possibilità di elezione di Berlusconi aumentano sensibilmente da quando Draghi sta facendo circolare le regole d’ingaggio concordate al momento della accettazione di palazzo Chigi, che doveva essere una tappa in attesa del Quirinale”, prosegue lo stratega alle prese con i contatti, gli accordi e le contrattazioni. Secondo lui, “Se Draghi non viene eletto al primo giro, si dimette da presidente del consiglio”. Uno scenario che rimette in moto, come nell’innesto di un esplosivo, conseguenze a catena forti e inarrestabili. Renzi suggerisce di valutare la candidatura di un ex presidente di Camera o Senato, che ha già avuto l’esperienza di arbitro istituzionale “super partes”.

In effetti, a scorrere l’elenco dei 12 presidenti della Repubblica, ben sette (De Nicola, Gronchi, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro e Napolitano) erano stati presidenti di Camera o Senato, contro quattro (Segni, Leone, Cossiga e Ciampi) che erano stati presidenti del Consiglio. Letta ha aggiunto anche i giudici costituzionali, che dovrebbero essere per definizione “super partes”, soggetti solo alla Costituzione: così, includendo Mattarella, arriviamo a 8 su 12. È chiaro che il primo effetto di questa indicazione, se venisse accolta, sarebbe quello di escludere dalla corsa al Colle Berlusconi e gli altri “non presidenti di Camera o Senato” e “non giudici costituzionali”, come Gentiloni, Prodi, Finocchiaro e la stessa Moratti. Resterebbero invece in lizza, tra i nomi circolati nelle ultime settimane, Casini, Pera, Amato e Cartabia, più altri ex presidenti: Violante, Grasso, Boldrini e persino Bertinotti, Fini, Scognamiglio, Mancino, Schifani e Pivetti. Oltre ovviamente agli attuali Fico e Casellati.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.