Come nei racconti di Agatha Christie in cui i dieci piccoli indiani spariscono uno dopo l’altro, così la corsa al Quirinale perde concorrenti. Non è chiaro se Mario Draghi l’abbia fatto apposta calcolando tutte le mosse come quella di ribellarsi contro l’Europa dichiarando che l’Italia “difenderà con le unghie e con i denti” il suo tesoro di sicurezza anti-Covid. Ma alla fine il risultato è questo: finiti i brontolii, l’Europa si è allineata a Draghi a patto che sia lui a proseguire e dare la linea. È un po’ come quando in Riusciranno i nostri eroi Nino Manfredi non sa resistere al richiamo delle belle africane che cantano “Ninì nun ce lassà”.

Che cosa è successo? Draghi si è ribellato all’Europa varando delle norme anti-Covid in contrasto con quelle dell’Unione e affrontando con spavalderia le critiche e i rimbrotti. Perché? Si tratta di difendere con le unghie e coi denti i risultati raggiunti. E poi? Poi l’Europa, che aveva sollevato le sopracciglia – gli ha dato ragione: bravo Draghi! Questa era la via da intraprendere, e tu, come al solito, sei un esempio per tutti. Dunque, non fare scherzi come trasferirti al Quirinale: resta dove sei perché soltanto da quella postazione in apparenza minore, tu dirigi tutti noi. Applausi, inchini e altri gesti graziosi. Il risultato è che Draghi si è auto-inchiodato alla poltrona di Palazzo Chigi e da questo non può essere più trasportata sul Colle. E così un altro dei Dieci Piccoli Indiani esce di scena.

Al Quirinale, intanto, Mattarella ha ricevuto il Papa con cui ha scambiato doni e figurine – robetta leggera con ceramiche e panoramiche – perché con questo rituale dello scambio di visite, Mattarella termina la fase protocollare ripetendo per l’ennesima volta che lui non ne vuol sapere di essere rieletto. Cadono man mano tutte le ipotesi su cui contava Enrico Letta alla ricerca di ogni possibile ostacolo alla candidatura di Berlusconi: si è inventato che la votazione debba essere quasi plebiscitaria, cosa che in passato è accaduta in pochi casi di cui il più memorabile è quello dell’elezione di Cossiga, mai così unitaria, che aprì un settennato di grandi rotture e botte da orbi.

Resta in piedi la candidatura della ministra Cartabia che, essendo donna, ha delle chance in più e di cui si dice che sia stata sponsorizzata discretamente dal dipartimento di Stato americano oltre che dalla Meloni che l’ha trasformata in un ospite specialissimo alla festa di Atreju. La voce di un interesse americano è nata quando la Cartabia è stata recentemente invitata negli Stati Uniti per un incontro sui temi della giustizia, il cui scopo reale era quello di mettere sotto osservazione un candidato ancora non noto per poterlo valutare. La Cartabia però non è un candidato forte. Perché politicamente è alle primissime armi. Anche se con un curriculum d tutto rispetto. Però è difficile che su di lei si trovi una maggioranza anche nel caso in cui la Meloni rompesse la già fragile unità della destra per proporla come prima donna capo dello Stato.

Le candidature che restano sono poche e tra queste seguita a crescere quella di Silvio Berlusconi, molto amato e molto detestato. Come si vede, tutto dipende dalla tenuta del centrodestra che non è affatto garantita: Salvini e la Meloni sono in forte concorrenza, alla ricerca di una via che conduca all’estromissione di Draghi da Palazzo Chigi per tornare alla politica e alla crisi di governo da cui scaturirebbero necessariamente elezioni anticipate convocate dallo stesso Draghi appena eletto presidente. Adesso abbiamo l’ultima novità: Draghi sarebbe stato dichiarato inamovibile dall’Europa che conta e che lo vuole al governo preparandogli una funzione di leadership continentale. Una situazione quasi inestricabile per semplificare la quale l’elezione di Berlusconi sarebbe perfetto: un leader anziano con un primato nella conduzione del governo nazionale al quale viene riconosciuta la persecuzione giudiziaria durata vent’anni.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.