Si narra che quando Alcide De Gasperi decise di incontrare Luigi Einaudi per comunicargli la scelta di candidarlo alla carica di Presidente della Repubblica, si recò a palazzo Koch e fu ricevuto dal Governatore della banca d’Italia, che aveva conservato la carica in base a una leggina ad hoc, pur entrando nel Governo. Einaudi si scusò per essersi fatto trovare con la barba incolta, ma precisò che quella mattina si era rotto il rasoio e aveva incaricato una persona di portarlo a riparare. Da Presidente della Repubblica risplendeva la frugalità einaudiana: era il tempo che potrebbe essere ricordato come quello delle “pere divise”: a tavola con un ospite, il Presidente, per non sciupare una pera troppo grande per lui, proponeva di condividerla con l’invitato.

Carlo Azeglio Ciampi era Ministro del Tesoro quando Veltroni, Fini e D’Alema, “inaudita altera parte” inizialmente, crearono le condizioni di partito e parlamentari perché salisse al Colle. Né EinaudiCiampi scalpitavano o avevano il “legittimo desiderio” di trasferirsi al Quirinale, come un giornale sostiene, riferendosi, invece, al desiderio che sarebbe oggi proprio di Mario Draghi, che del pari è stato Governatore a Via Nazionale. Ricordare gli incomparabili predecessori è una manifestazione di “laudatio temporis acti” o, comunque, di insostenibile nostalgia? Forse, ma quegli esempi presentano un dato di attualità in ogni epoca perché segnalano un “habitus” al quale, per il suo carattere comportamentale e morale, quanto meno si dovrebbe tendere o dovrebbe ispirare le condotte dell’oggi. Anche nel mondo dei personaggi della politica accadde, per esempio, che dopo l’abbandono, da parte di Sandro Pertini, della candidatura al Quirinale per non avere registrato un’adesione parlamentare adeguata, fu Alessandro Natta, uno, allora, degli uomini di punta del Pci, a dichiarare, riprendendo Orazio, “multa renascentur quae iam cecidere” e così a rilanciare il nome di Pertini che fu poi eletto.

La storia successiva è ampiamente nota. Oggi, naturalmente, il contesto è notevolmente diverso e assai spesso, in queste settimane, la figura di Draghi viene strumentalizzata omettendo di dire “pane al pane e vino al vino” da partiti o singoli esponenti che, a seconda dei casi, o non vogliono che sia eletto Capo dello Stato o sostengono tale candidatura per trarne le conseguenze sul Governo o sulla fine della legislatura. Continuano così le formule e ricompare nuovamente l’ipotesi dell’accoppiata Mattarella bis-Draghi, magari per il tempo che occorre perché l’attuale Premier possa poi ascendere al Colle. E ciò senza minimamente riflettere sulle reiterate, pubbliche dichiarazioni di indisponibilità rese da Mattarella. La presentazione, in questi giorni, di una proposta di legge costituzionale per escludere espressamente un secondo mandato presidenziale, insieme con l’abolizione del “semestre bianco”, viene interpretata anche come un modo per eventualmente rassicurare Mattarella che una sua eventuale ulteriore permanenza al Colle non durerebbe molto perché, una volta approvata la riforma costituzionale (occorrerebbe almeno un anno), sorgerebbe un dovere non giuridico, ma morale, di dimettersi: insomma, una variante dell’allungamento del mandato per “tenere la poltrona calda” .

In attesa di chi? Ovviamente del “pantocratore” Draghi. Da ultimo, viene ripresa e rilanciata l’ipotesi di quest’ultimo al Colle e Daniele Franco a Palazzo Chigi. Con ciò non ci si avvede che si danneggiano entrambi: il primo perché si sostiene, senza riscontri, che vorrebbe un uomo fidato a capo del Governo in modo di attuare di fatto, come è stato detto da un Ministro, quell’ipotesi di presidenzialismo esclusa dalla Costituzione attraverso la presunta corrispondenza ai suoi indirizzi da parte di Franco; ma anche quest’ultimo perché lo si configura (in alcuni casi ricorrendo pure a immagini della più avanzata tecnologia) come persona che potrebbe essere eterodiretta o, in ogni caso, che potrebbe eventualmente concordare con Draghi, se Capo dello Stato, le principali misure da adottare. Anche in questo caso, lo si fa sulla base di considerazioni senza adeguati riscontri.

Il fatto è che, nel dibattito politico, gli argomenti della recrudescenza della pandemia, dell’inflazione, dell’impennata dei prezzi dell’energia, della stessa “riformina” fiscale, per non dire dell’attuazione non facile del Piano di ripresa e resilienza, stanno passando in secondo piano mentre si allarga il “monopoli” del Quirinale e apertamente si attribuisce, come accennato, al Premier la voglia di trasferirsi al Colle. In una circostanza del genere, non sarebbe affatto fuori luogo rendere pubblica la propria posizione: sto cercando di governare al meglio delle mie possibilità la nave del Paese, innanzitutto perché non finisca “in gran tempesta” e “senza nocchiere”. Continuo quest’opera con il medesimo impegno del primo giorno e avvertendo lo stesso onore per il conferimento della carica. Non ho aspettative o desideri che comportino l’abbandono di questo gravoso, ma stimolante o esaltante impegno.

L’elezione del Capo dello Stato è compito del Parlamento nel quale non mi passa per la testa di interferire, checché se ne scriva nelle cronache. Ora significherebbe corrispondere al bene comune se si continuasse a lavorare con dedizione sugli impegni da realizzare in campo economico, sociale, istituzionale, a livello interno ed europeo, abbandonando presunte indiscrezioni, dietrologie e fantapolitica. Certo, si può sostenere che non mancherebbe chi su di una dichiarazione della specie almanaccherebbe e troverebbe spiragli per altre dietrologie. Tuttavia sarebbe un fatto di trasparenza, meglio ancora, di parresia che per chi governa è un dovere.

Quando, negli anni settanta del secolo scorso si parlava e si scriveva che quel grande personaggio prima Direttore generale e poi Governatore della Banca d’Italia, che era Paolo Baffi sarebbe stato nominato Ministro del Tesoro, egli rispondeva apertamente a chi riportava la notizia che quando i politici ( a volte egli usava, seccato, la qualifica “i partitanti”) non sanno cosa fare si inventano una carica di governo per esponenti dell’Istituto, alla quale non ho comunque alcun interesse. Insomma, la storia resta nel complesso maestra di vita, anche se ha spesso alunni disattenti e impreparati.