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Servizi digitali
Il doppio autogol del governo sulla Web Tax: colpire le startup e litigare con gli Stati Uniti
L’intenzione è buona, la realizzazione rischia di creare gravi conseguenze nel mondo imprenditoriale italiano, in particolare delle imprese digitali. All’interno della manovra 2025, al momento in discussione in Parlamento, è prevista una rimodulazione della Digital Service Tax, meglio conosciuta come “Web Tax”. La nuova versione della Web Tax prevede l’applicazione di un’imposta del 3% su tutti i ricavi prodotti dalle aziende digitali. Il primo problema di questo nuovo balzello è il suo ambito di applicazione. Secondo quanto previsto dalla Finanziaria, essa va estesa a tutte le aziende che forniscono servizi digitali, inclusi quelli legati alla pubblicità online, alle piattaforme di e-commerce e ai servizi di streaming.
Servizi digitali
La definizione di servizi digitali è ampia. Essa comprende non solo le aziende che si occupano propriamente di e-commerce ma anche le società di servizi, gli imprenditori individuali, le piccole e medie imprese che forniscono attività legate al web. Magari colpirà anche un programmatore che si occupa di design di siti web o della loro realizzazione. Bisogna ricordare che la Web Tax in Italia è stata già introdotta nel 2019. Ha lo scopo di garantire una tassazione equa che colpisca i giganti del web che producono utili in Italia ma – grazie al sottile meccanismo dell’elusione – dichiarano i redditi in altri paesi, lasciando così le briciole al sistema fiscale del Belpaese.
Pertanto nel 2019 si decise di applicarla per le aziende che “realizzano ovunque nel mondo, singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni” oppure che “percepiscono singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare di ricavi da servizi digitali non inferiore a 5,5 milioni di euro nel territorio dello Stato”. Ecco perché la prima versione era evidentemente indirizzata alle grandi aziende che tutte noi conosciamo e che utilizziamo nei servizi di streaming, di delivery o di semplice navigazione in internet. Con la nuova versione, invece, i limiti vengono cancellati con un evidente effetto collaterale: l’imposta colpirà tutte le aziende che hanno a che fare con Internet.
Startup
È un’imposta pericolosa perché non fa altro che aggravare il sistema dei tributi che le aziende italiane devono pagare. Il nostro Fisco è tra i più salati al mondo. Secondo un’analisi pubblicata dall’Ocse due giorni fa, con il 42,8% di imposizione media l’Italia è il terzo paese al mondo per livello di tassazione. Senza contare che in cambio di queste imposte si ottengono servizi non in linea con il livello di quanto versato.
In questo quadro, il governo inserisce un nuovo balzello che abbassa di molto il livello di competitività delle aziende e rende meno attrattivo il nostro territorio per gli investimenti esteri. Giova ricordare, poi, che l’Italia è uno dei paesi con maggiore dinamicità delle Startup: gli investimenti in aziende innovative sono raddoppiati negli ultimi anni. E a creare questo tipo di imprese sono soprattutto i giovani. Pertanto la Web Tax corre il rischio di diventare un ulteriore tributo che costringerà i giovani o gli imprenditori più dinamici a scegliere altre nazioni per questo tipo di investimenti.
Corsa ai ripari
La cosa migliore da fare sarebbe lasciare l’imposta così come è stata formulata nel 2019. Se però l’intenzione è trovare nuove coperture per la Finanziaria, almeno si definisca meglio l’ambito di applicazione chiarendo cosa si intende per “imprese o aziende digitali”. Nel fine settimana o al più tardi lunedì – secondo alcune indiscrezioni – ci dovrebbe essere un vertice di maggioranza presieduto da Giorgia Meloni per definire quali sono gli emendamenti alla manovra da tenere. Bisogna sperare che la correzione di questa imposta sia tra le priorità.
Senza contare che – secondo voci di corridoio – il governo statunitense ha più volte fatto sapere all’esecutivo italiano di essere profondamente contrario a questo tributo che colpisce proprio le aziende a stelle e strisce. Non dimentichiamo che nel 2021 l’amministrazione Biden introdusse dazi del 25% sui prodotti importati dall’Italia proprio per rispondere alla Digital Tax. I dazi furono sospesi per 6 mesi in attesa di negoziazioni ma non è difficile immaginare che, con l’insediamento di Donald Trump, essi potrebbero essere riproposti come risposta alla tassazione italiana. Quindi un doppio autogol: un freno all’economia interna e una nuova tensione con Washington.
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