“Quello che Hamas sta facendo è mantenere la popolazione di Gaza nella fame, perché fare perdurare la sua sofferenza è la sola cosa che può tenerli al potere e mantenere viva la sua falsa narrativa. Ma la popolazione di Gaza è stufa di avere paura e sta ribellandosi contro Hamas, che non può fermarla”. È un attacco diretto quello che il gazawi Hamza Howidy, esule in Germania, fa nei confronti di Hamas e della sua strategia di affamare la popolazione della Striscia per mantenersi saldo al potere. Una condanna forte, senza mezzi termini, la sua, e tanto più importante quanto più si diffondono fake news sull’utilizzo della fame come arma da parte di Israele e la parola “carestia” è diventata ormai seconda soltanto a “genocidio” fra quelle utilizzate per condannare Israele contro Hamas.

Quella di Howidy è una delle voci palestinesi dissidenti che, a rischio della propria vita, parla apertamente delle responsabilità del gruppo terroristico islamista che ha attaccato Israele il 7 ottobre 2023. “Questa settimana è stato istituito un nuovo gruppo di aiuto americano, che in sole 48 ore ha consegnato oltre 840mila pasti direttamente alla popolazione, tagliando completamente fuori Hamas – continua Howidy in un post su Instagram – Nel panico, Hamas ha creato falsi account sui social media fingendo di essere il gruppo di aiuti e ha postato messaggi falsi, dicendo che le distribuzioni erano cancellate, minacciando e manipolando le persone di non prendere il cibo. Ma quando hanno visto dei funzionari dell’organizzazione uscire da un magazzino ad Al Maghwani con sacchi di farina, in centinaia sono andati a prenderseli anche loro. Hamas ha rubato il cibo alla gente. Quindi la gente se l’è ripreso”.

Come Ahmed Fouad AlKhatib (di cui abbiamo raccontato la storia il 31 maggio), Hamza racconta sui social – e negli incontri organizzati nel mondo – i soprusi che la popolazione palestinese subisce da parte di Hamas da quando nel 2007 ha preso il potere. “Quando Hamas ha preso il potere con un colpo di Stato, vedevo persone buttate giù dai tetti dei palazzi e non capivo cosa stesse succedendo – ha raccontato ad aprile in un incontro al Senato – Abbiamo sopportato per 18 anni, finché, con un gruppo di amici, abbiamo fondato il movimento Vogliamo vivere (Bidna Naish). Da allora sono stato arrestato e torturato due volte”.

Dopo aver lasciato Gaza un mese prima del 7 ottobre, Hamza ha ripreso il suo attivismo dall’esilio, con l’intento di far sapere al mondo che non tutto il popolo gazawi sostiene Hamas: “Anche prima del 7 ottobre, Gaza era in ebollizione – testimonia – Ovunque andassi (caffè, taxi, aule scolastiche) la gente sussurrava la stessa cosa. Non possiamo vivere così. Non sotto assedio. Non sotto Hamas. Ma invece di ascoltare, Hamas ha raddoppiato. Più tasse. Più corruzione. Più silenzio imposto dalla paura. La gente stava soffocando. La vita quotidiana è diventata un incubo e chi ha osato parlare ne ha pagato il prezzo. Ora ci chiamano traditori perché chiediamo un futuro?”.

Per queste sue convinzioni, Hamza rischia la vita ogni giorno, condannando anche l’Occidente che non dà spazio alle voci come la sua, e che, con lo slogan “Globalizzare l’Intifada”, sta portando anche ad atti gravi, come l’uccisione di Sarah Lynn Milgram, “un’attivista per la pace che lavorava per una Ong palestinese-israeliana”, e Yaron Lishinsky: i due giovani diplomatici israeliani freddati davanti al Museo ebraico di Washington al grido di “Palestina libera”. La sua, come quella di altri che racconteremo su queste pagine, è una voce che va ascoltata. Ma purtroppo, oggi, quelli come lui e Ahmed vengono “silenziati” dal mondo, perché scomodi.

Ilaria Myr

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