Mentre siamo in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia (CGUE) sul concetto di “paese sicuro” e sulla sua operatività – e nel frattempo che, come si spera, calino i picchi glicemici post natalizi – può forse essere utile chiarire i meccanismi che regolano i rapporti tra la CGUE e il giudice ordinario italiano. Perché questo è il tema. Del resto, è anche un segno dei tempi: non bastano più, per orientarsi nella quotidianità, poche nozioni sedimentate, localizzate, indigene. La globalità ci porta costantemente in una dimensione di indagine, almeno europea.

La possibilità di acquisire nozioni sicure in argomento ci viene offerta da due sentenze della Corte Costituzionale che – interessandosi di eterogenee questioni ad essa proposte – si legano sulla chiarificazione delle regole (per così dire) di “ingaggio” tra giudice nazionale e diritto europeo. Con la prima (19 dicembre 2024 n. 210) si è attestato che la Corte Costituzionale non può in alcun modo – testualmente – “ostacolare” o limitare il potere dei giudici comuni dinanzi a una legge statale incompatibile con il diritto dell’Unione. La Corte è tornata sull’argomento nell’iniziale pronuncia del 2025 (3 gennaio 2025 n. 1).

Implementando le nozioni già offerte, la sentenza ha esplicitato che il giudice – ove ravvisi l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione, dotato di efficacia diretta – è abilitato a non applicare la normativa interna, all’occorrenza previo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (art. 267 TFUE). Ovvero a sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, e dell’art. 11 Cost. In quest’ultima evenienza, la Corte Costituzionale non potrà esimersi dal rispondere – con gli strumenti che le sono propri e che comprendono una vasta gamma di tecniche decisorie – alle censure che investono la violazione di una norma europea (contenuta nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nei Trattati o anche di diritto derivato) che presenti un nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale. Così da assicurare il “tono costituzionale” della questione sollevata.

In un sistema improntato a un concorso di rimedi (destinato ad assicurare la piena effettività del diritto dell’Unione e, per definizione, a escludere ogni preclusione), il sindacato accentrato di costituzionalità – ha affermato la Corte – non si pone in antitesi con un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo, ma con esso coopera nella costruzione di tutele sempre più integrate. Sarà, dunque, il giudice a individuare il rimedio più appropriato, ponderando le peculiarità della vicenda sottoposta al suo esame.

L’interlocuzione con la Corte Costituzionale, chiamata a rendere una pronuncia erga omnes, si dimostra – come viene sottolineato – particolarmente proficua qualora l’interpretazione della normativa vigente non sia scevra di incertezze; o la pubblica amministrazione continui ad applicare la disciplina controversa; o le questioni interpretative siano foriere di un impatto sistemico, destinato a dispiegare i suoi effetti ben oltre il caso concreto; oppure qualora occorra effettuare un bilanciamento tra princìpi di carattere costituzionale.

Chi ha resistito alla lettura, sappia che quanto sopra vale per l’Europa. Al fine di dotarsi di una qualche attrezzatura giuridica, quale base interpretativa per la decifrazione di intrighi internazionali (tipo l’attuale cortocircuito Iran-Italia-Usa), serve ben altro. Il riferimento è al sofisticato procedimento per l’estradizione. Ma questa è un’altra storia che va riservata al prosieguo.