“L’Italia vincente – Un anno di risultati. Come il Governo Meloni sta facendo ripartire la Nazione”. Questo il titolo – autocelebrativo e glorificatorio – di un opuscolo di una trentina di pagine che Fratelli d’Italia ha recentemente pubblicato per magnificare i risultati ottenuti dal Governo nel primo anno di attività. Un lungo elenco di fatti e numeri che nelle intenzioni degli autori dovrebbe certificare e dimostrare che grazie all’azione del Governo uscito dalle urne il 25 settembre 2022, il Paese ha cambiato passo, corre, cresce più del previsto, si afferma negli scenari internazionali. Un lungo elenco che però ad un’analisi neanche troppo approfondita si dimostra ricco di mezze verità, di omissioni, di flop venduti come successi (in primis sul tema dell’immigrazione) e che soprattutto si scontra con la ben diversa realtà che tutti i cittadini vivono quotidianamente sulla loro pelle.

I dati economici

I dati economici parlano da soli, non servono troppi commenti: la crescita del Pil, già modesta nei primi mesi dell’anno, si è ormai arrestata. Nella migliore delle ipotesi a fine anno registreremo un +0,7/0,8%, lontano anni luce dal +3,7% che grazie alla spinta propulsiva del governo Draghi raggiungemmo nel 2022. L’inflazione non è ancora definitivamente domata, nonostante una politica monetaria fortemente restrittiva che ha provocato tanti danni alla nostra già traballante economia, facendo crollare investimenti e consumi. Il debito pubblico continua ad essere un pesantissimo fardello sulle spalle degli italiani, quasi 50.000 euro pro capite, neonati compresi, l’export è in affanno e la fiducia di cittadini e imprese cala sempre più in basso. E le prospettive per il 2024 di certo non sono migliori, con l’Italia fanalino di coda a livello europeo per crescita ed una manovra economica, oltre al resto giudicata non certo positivamente dalla Commissione Europea, che non riesce a definire strumenti ed azioni necessari per dare alla nostra economia quell’impulso, quella spinta che tanto sarebbero necessari per crescere.

Povertà, un fenomeno strutturale

In definitiva, quasi un bollettino di guerra. Altro che “la ripartenza della Nazione” millantata dalla brochure governativa! Un panorama presente e purtroppo anche futuro molto preoccupante, che ha come immediata conseguenza, cosi come ha ben evidenziato il 27° Rapporto sulla Povertà pubblicato da Caritas pochi giorni fa, un effetto che non esito a definire angosciante e indegno per il nostro Paese: in Italia la povertà è ormai diventata un fenomeno strutturale e non più residuale come era nel passato. 5,7 milioni di persone, quasi il 10% dell’intera popolazione, sono in una condizione di povertà assoluta. Si tratta di 2,2 milioni di famiglie che non possono permettersi le spese minime per avere uno standard di vita accettabile. E rispetto all’anno precedente, questa categoria è aumentata di ben 357.000 unità. A rischio povertà ed esclusione sociale sono invece 14,3 milioni di persone, il 24,4% della popolazione totale, dato superiore alla media dell’Unione Europea del 21,8% e di Paesi come Francia o Germania. Dati che fanno riflettere, ancora di più se si considera che quasi la metà dei capofamiglia di famiglie indigenti hanno un lavoro. Il lavoro, quindi, non basta più; i working poors, lavoratori con stipendi bassi e contratti che non vengono rinnovati, sono stati colpiti con ferocia dall’inflazione e dall’aumento dei costi energetici.

Combattere l’esclusione sociale

Tutti da verificare poi, gli effetti della riduzione – a decorrere da agosto 2023 – e della successiva cancellazione del Reddito di cittadinanza, che a partire dal 2024 verrà erogato con il nuovo nome di Assegno di inclusione solo alle famiglie a basso reddito che abbiamo fra i propri componenti un minore, un anziano o un disabile. Che lo strumento del reddito di cittadinanza, così come approvato dal primo governo Conte nel 2019, presentasse gravi limiti e distorsioni e fosse fonte di inaccettabili e numerose truffe che hanno reso indispensabile una sua rivisitazione è un dato di fatto. Famosa in merito la frase molto esemplificativa del Presidente di Confindustria che senza mezzi termini sostenne che “quando cerchiamo giovani per dargli un lavoro, abbiamo un grande competitor che è il reddito di cittadinanza”. Altrettanto scontata è però la necessità di avere uno strumento che combatta la povertà e l’esclusione sociale, che come visto stanno dilagando nel nostro Paese, prevedendo da un lato un beneficio economico diretto che sostenga le persone in difficoltà e dall’altro un progetto personalizzato che favorisca la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro laddove ne esistano le condizioni.

Il Next Generation UE 2

E considerato che il fenomeno della povertà sta investendo tutta l’Europa, seppure con intensità diversa, perché non pensare che questo strumento possa nascere a livello europeo? Un Next Generation UE 2, finalizzato a creare le condizioni per battere la povertà e l’esclusione sociale in tutta Europa, attraverso sostegni ed investimenti, che possano contribuire a supportare le tante persone in difficoltà e a creare opportunità ed occasioni, in primis in relazione all’inserimento nel mondo del lavoro, per restituire un futuro a chi oggi è tristemente convinto di non averlo.

Per concludere, è ormai evidente che una parte rilevante dei cittadini italiani sta scivolando verso la povertà. E non lo dicono solo i dati dei rapporti della Caritas o di qualche Associazione di volontariato, ma lo vediamo e lo tocchiamo con mano tutti i giorni, con file davanti ai Banchi Alimentari sempre più lunghe ed i carrelli dei supermercati sempre più vuoti. I toni trionfalistici ed autocelebrativi del premier Meloni e dei suoi Ministri sono assolutamente stonati e fuori luogo. Non stiamo ripartendo, non siamo i più bravi, non siamo vincenti. Siamo un Paese dove tanti (non tutti, purtroppo) con fatica e con sacrifici stanno cercando in un momento difficile di dare il meglio di sé.
E Meloni e i suoi Ministri dovrebbero ricordarlo, nelle loro parole e nelle azioni del loro Governo.