Non sappiamo più con quali parole denunciare quel dramma che dovrebbe investire la coscienza civile di tutti i vertici politici, amministrativi e giurisdizionali dello Stato. Il superamento di quel numero spaventoso di 84 suicidi che aveva tragicamente segnato l’anno 2022 (superato con l’ultimo suicidio di un ventunenne consumatosi nel carcere di Marassi, dove a fronte di una capienza di 335 detenuti ce ne sono ammassati 696), sta a dimostrare nei fatti l’inarrestabile catastrofe delle strutture carcerarie e al tempo stesso a rimarcare l’indecente silenzio di chi, potendo e dovendo intervenire, rivendica invece di aver pianificato un grande progetto edilizio e di avere incrementato investimenti di uomini e mezzi.

Ma nell’attesa di vedere le magnifiche future sorti di quello spaventoso progetto carcerocentrico, ulteriori e diversi “investimenti” si prospettano in un futuro più prossimo. Non si tratta soltanto delle nuove norme inserite nel “pacchetto sicurezza”, che prevedono l’incremento della carcerizzazione con l’introduzione di nuovi reati e di nuove ostatività, ma di più sofisticati investimenti comunicativi, come quello della appena pubblicizzata formazione di nuovi reparti GIO, “antisommossa” e di quel promo 2025, del “nuovo volto della penitenziaria”, che volta pagina sul passato, proponendo un’immagine che non indulge né a clemenza né a compassione verso il popolo dei vinti. Conosciamo bene le doti e le qualità di quegli uomini, come le difficoltà o gli sviamenti, che denunciamo con forza, ma davvero restiamo sgomenti nel vedere quegli stessi uomini e quelle stesse donne in divisa schierati, per fini di propaganda, sotto il martellante e angoscioso ritmo di una colonna sonora incalzante, “contro” quel popolo di reclusi che nel video sono del tutto assenti. Perché esaltare, con quel trailer l’idea di un corpo in assetto di guerra, di uomini e donne dall’aspetto truce, in armi contro una invisibile minaccia. Si tratta di una immagine inedita, che archivia l’idea di un corpo di prossimità che antepone convintamente la forza della rieducazione alla rieducazione della forza.

“Gli agenti di polizia penitenziaria – diceva nel 2022 Bernardo Petralia, allora Capo del DAP – sono i primi educatori all’interno degli istituti, non soltanto controllori della sicurezza”, mettendo così “in primo piano – anche nella comunicazione – l’intensa quotidianità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria all’interno degli istituti”, a diretto contatto con l’umanità stessa della detenzione. Perché esaltare, con quel trailer l’idea di un corpo in armi contro la minaccia di quel popolo lontano, diviso ed invisibile di carcerati. E se anche volessimo considerare quello dei detenuti come un popolo separato, ci chiediamo per quale ragione considerarlo come un popolo di “nemici”, come la sentina di “ostaggi” di un esercito nemico, di uomini che non possono essere in alcun caso oggetto, non solo di clemenza, ma neppure di vicinanza. Uomini destinatari (come nelle parole del sottosegretario Delmastro) di una “miscela quotidiana” somministrata da un personale di polizia che sappia sempre accompagnare “l’uso legittimo della forza nel minor gradiente possibile, con il supporto al trattamento e al reinserimento”. Così che l’immagine del bastone non sia mai troppo distinta da quella della carota e l’uomo nuovo possa nascere da quella provvidenziale umiliazione frutto della somministrazione quotidiana di quel sapiente indispensabile “gradiente”.

Ecco, dunque, di fronte a quell’universo carcerario abbandonato a sé stesso, schiacciato nell’illegalità dell’indifferenza, dove il sovraffollamento viene valorizzato come deterrente al suicidio, il perché di quella reclame muscolare. Il motivo di quella declinazione esclusivamente repressiva e militare di un corpo che sappiamo essere dotato di tutt’altre virtù e di una ben diversa missione. “Despondere spem est munus nostrum”è il loro motto: “mantenere viva la speranza è il nostro compito”. Guardate quel promo 2025 e dite se mai si poteva declinare in maniera più distorta e deforme quell’idea di una polizia di prossimità, adesiva al dettato costituzionale e lasciatelo dire, al buon senso, o meglio ancora, al senso dello Stato.

 

Francesco Petrelli – Presidente delle Camere Penali

Francesco Petrelli

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