In sala il nuovo film
“Il mio Batman non è un eroe, la sua maschera copre un trauma”, parla Robert Pattinson

Malinconia, poesia e schizofrenia sono le componenti del Batman di Matt Reeves che vede Robert Pattinson nei panni dell’eroe orfano e oscuro di Gotham City. Dall’11 marzo al cinema ci immergeremo nuovamente nell’universo dell’uomo pipistrello per riprendere dalla stessa decadenza e voglia di vendetta da cui il Joker di Joaquin Phoenix ci aveva salutati. A Gotham City non splende mai il sole, sembra sia sempre notte, crepuscolo, e Bruce Wayne, a differenza di come ci avevano abituato le precedenti trasposizioni del fumetto sul grande schermo, non è più il centro del mondo.
Non si guarda a lui come a un esempio di filantropia, frivolezza e sicurezza ma è semplicemente uno dei tanti ricchi di Gotham, nell’ombra dopo l’assassinio dei suoi: «Era chiaro dalla sceneggiatura che ci saremmo distaccati drasticamente dal modo tradizionale con cui Bruce Wayne è stato rappresentato in passato – chiarisce Robert Pattinson in conferenza da Londra. Nei film precedenti è sempre stato in pieno controllo di tre aspetti della sua personalità: il playboy, l’imprenditore e il Bruce, quello dell’intimità della sua casa. Qui invece dalla morte dei suoi genitori si è lasciato appassire, non ha lavorato su se stesso. Credo che l’unica maniera di sopravvivere sia stata per lui il crearsi questo alter ego dentro cui si trova sempre più a suo agio. Crede veramente di essere un’altra persona quando veste i panni di Batman e questa sensazione gli crea dipendenza. Ha quasi più paura che la sua identità venga rivelata che di morire». Che si senta più sicuro nel mondo quando veste i panni di Batman è evidente nella maniera in cui Pattinson lascia esistere Bruce Wayne nel film e lo mostra schiavo del trauma.
I suoi occhi mascherati incrociano quelli del bimbo a cui il villain del film, il conosciutissimo Enigmista, ha ucciso il padre e lo spettatore sprofonda nel disagio del protagonista che si identifica ancora con quell’orfano. Matt Reeves parte dalla meticolosità delle detective story che per citare l’interprete del Commissario Gordon, Jeffrey Wright “omaggia i film di Sidney Lumet in stile Tutti gli uomini del presidente e l’età d’oro del cinema americano anni 70” e riesce a donare la giusta epica anche alle vicende di un eroe e per nulla supereroe che finalmente si mostra nella sua totale umanità, nella paura di perdere le uniche connessioni con l’idea di famiglia che ha, Alfred e la certezza dell’integrità di suo padre. Già tra i migliori cattivi di sempre c’è il tormentato e occhialuto Enigmista di Paul Dano che è tanto lontano dai vestiti verdi con i punti interrogativi di Jim Carrey quanto vicinissimo alla pazzia da discriminazione del Joker: «Non ho dovuto pensare al lavoro fatto da Jim Carrey o Jack Nicholson – spiega Dano – ma inconsciamente è come se le loro performance fossero indelebili. L’unica cosa che ho potuto fare è stato rendere questo villain il più personale ed emotivo possibile».
Come ci permette di ricordare Dano, quello di Batman al cinema è stato un percorso molto battuto in passato. Da Tim Burton a Christopher Nolan fino al dimenticabile Joel Schumacher per la regia ai mascherati Michael Keaton, Val Kilmer, George Clooney, Ben Affleck e per chi scrive, l’illustre Christian Bale che, dice Pattinson “mi ha spiegato cosa aspettarmi”. Questa lista di ex cavalieri oscuri è riuscita ad impaurire l’attore divenuto famoso come vampiro in Twilight? «No – risponde. Mi ha convinto il fatto che sia stato interpretato molte volte, il che dimostra che il personaggio ha tante sfumature e angolature da cui può essere visto, anche se è bizzarro, dato che fisicamente ha mezza faccia coperta. In più l’ho considerato un privilegio vista l’eredità delle persone che lo hanno interpretato prima di me». Orfana, oscura e felina nei modi e nei gusti più che per scherzi genetici è la Catwoman di Zoë Kravitz, figlia d’arte di Lisa Bonet e Lenny Kravitz e già apprezzata nella miniserie Big Little Lies che qui viaggia letteralmente in parallelo con il nostro vendicatore e gli si affianca senza perdere di vista i suoi obiettivi.
Reeves regala ai due vendicatori un accenno di storia romantica che non nasconde mai però che ciò che li lega è anche ciò che li dividerà, una volta portata a termine una missione. «Credo che la parte più difficile sia stata dimenticare che i personaggi che interpretiamo sono iconici. Una volta fatto questo, sei a metà dell’opera – confessa Kravitz. Per poterli onorare e interpretare in maniera tridimensionale, devi sempre immaginarli come esseri umani». Centra il punto Zoë Kravitz, la ragione per cui Matt Reeves realizza un film riuscito e compiuto: Batman non è un supereroe, lo diventa quando accoglie le sue paure, supera la sua personale voglia di vendetta e il rancore e li eleva ad un bene superiore, la salvezza degli altri intorno a lui. Tre anni di lavorazione, 15 mesi totali di riprese e tre ore di film che scorrono senza fasi di stanca, con una colonna sonora, quella del Premio Oscar Michael Giacchino, che cavalca la cupezza e malinconia del film, lasciandosi guidare dai Nirvana con Something in the way.
© Riproduzione riservata