Negli ultimi decenni l’economia è stata soverchiata dalla finanza stockopzionista che ha provocato la strage degli innocenti, nel trionfo del rischio altrui e nel trionfo delle asimmetrie informative, dei circoli ombra della liquidità, in un gioco di specchi gestito da una nuova oligarchia senz’anima che domina anche la politica con il panico finanziario e la distruzione degli assets dell’economia reale. La società si fa sempre più fragile e il mercato si trasforma in luogo di scontro e non di incontro. Il mito della valorizzazione capitalistica sostituisce l’imperativo di una economia giusta che non può non essere fondata che sul pieno impiego e su un ritorno a una gestione partecipativa del pluralismo medesimo, impedendone la trasformazione in una nuova forma di oligarchia.

A fronte di tutto ciò risplende l’alternativa morale di un’economia polifonica. La forma solidale mutualistico-cooperativa diviene, allora, in questa lotta per un’economia morale, l’alternativa fondamentale. Essa è un’impresa nella quale il fine e il fondamento dell’agire economico è il soddisfacimento dei bisogni della persona (il socio). Alla sua base vi è, dunque, la comune volontà dei suoi membri di tutelare i propri interessi di consumatori, lavoratori, agricoltori, operatori culturali, secondo i principi della libertà e del mutuo aiuto. L’elemento distintivo e unificante di ogni tipo di cooperativa infatti, si riassume nel fatto che, mentre il fine ultimo delle società di capitali è la realizzazione del lucro e si concretizza nel riparto degli utili patrimoniali, le cooperative hanno uno scopo mutualistico, che consiste nell’assicurare ai soci lavoro o beni di consumo o servizi a condizioni migliori di quelle che otterrebbero dal libero mercato.

Le cooperative, per garantire l’effettività di questa natura fondativa e una sempre possibile eterogenesi dei fini, sono caratterizzate dal voto “capitario” dei soci, ovvero dal fatto che ogni socio ha diritto a un voto in assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale sociale. Questo fa della cooperativa la forma ad oggi più evoluta di capitalismo democratico, nella quale il socio conta per il valore intrinseco delle idee e delle proposte di cui è portatore e non per il “peso” economico della sua partecipazione al capitale. Viceversa, nelle Spa i voti sono attribuiti in proporzione al numero di azioni possedute da ogni socio. Ma l’esperienza e la dottrina economica hanno ampiamente evidenziato come non sia possibile riscontrare alcun vantaggio operativo ed economico da parte delle società in cui vige il sistema del voto per azione rispetto alle altre, tanto che la stessa Ue ha rinunciato a imporlo. Caratteristica propria della cooperativa è, quindi, il principio di parità tra i soci (esempio preclaro di democrazia economica), che implica, tra l’altro, oltre al voto capitario, la necessità di un giudizio motivato sui motivi di ammissione o sul diniego di ammissione nei confronti di nuovi soci. Come ben si comprende un paradigma totalmente diverso da quello dominante che, se applicato su scala ben più vasta di quanto non sia già oggi, consentirebbe al mondo di fuoriuscire dalla crisi.

Il movimento cooperativo e mutualistico continua a perseguire i valori sociali che gli sono propri, come democraticità e solidarietà, lotta contro la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale secondo i principi tanto della giustizia distributiva quanto di quella commutativa. E proprio grazie a queste caratteristiche, la cooperazione sta reggendo, meglio di altri, l’urto della crisi. In tutto il modo grandi organizzazioni mutualistiche in ogni settore merceologico, accanto a un microcosmo fatto di piccolissime imprese, il cui solo scopo è quello di operare con i soci, fornendo loro lavoro, beni e servizi, rendono manifesta la resistenza del corpo sociale, della soggettività creatrice dinanzi alla macchina impersonale e distruttrice dei mercati non sorretti da principi morali e da essi regolati.

Il movimento cooperativo, per esempio, invece di licenziare e delocalizzare come hanno fatto moltissimi imprenditori negli ultimi anni, reinveste gli utili all’interno della stessa cooperativa, producendo valore e occupazione perché questa forma di associazionismo economico non ha come fine ultimo il profitto, ma la solidarietà. Per questo, qualche anno fa, oltre 500 docenti delle Università italiane in un loro Manifesto su “La Cooperazione, un patrimonio del Paese da tutelare e valorizzare” hanno, fra l’altro, evidenziato che le cooperative sono un patrimonio del Paese, un motore di sviluppo economico e di crescita sociale, contribuiscono alla nascita dell’imprenditoria soprattutto giovanile e alla valorizzazione delle qualità imprenditive e innovative delle persone, cruciali al mantenimento di un ruolo rilevante del nostro Paese nell’economia mondiale. Continua, continuerà, lo “scandalo” evangelico dell’economia fondata sulla mutualità e l’associazione creatrice di liberi soggetti.

2a parte/fine. La prima parte è stata pubblicata ieri 30 marzo