«Da lungo tempo i risultati economici del Mezzogiorno d’Italia sono deludenti. Il divario di Pil pro capite rispetto al Centro Nord è rimasto sostanzialmente immutato per trent’anni e pari a circa quaranta punti percentuali. Il Sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo; rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell’area dell’euro». Era il 2009, quando l’allora Governatore Mario Draghi, in un importante convegno organizzato della Banca d’Italia sul Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia, riproponeva con forza la mai risolta “questione meridionale”. Sono passati altri 12 anni e a quella situazione strutturale si è aggiunta, con tutta la sua drammaticità, la crisi indotta dalla pandemia.

La scorsa settimana, il capo del Servizio Stabilità finanziaria di Via Nazionale, Alessio De Vincenzo, in audizione alla Commissione Finanze della Camera, ha parlato di 32 mila aziende italiane in deficit di liquidità e della necessità di un fabbisogno complessivo di 17 miliardi malgrado gli interventi del Governo senza i quali ben 142 mila sarebbero state le aziende in deficit e 48 i miliardi di fabbisogno. Il dirigente di Bankitalia ha anche sottolineato quanto lo shock causato dalla pandemia determini un grave squilibrio nella struttura finanziaria delle imprese italiane senza nascondere una forte preoccupazione per le conseguenze, economiche e sociali della diffusione del virus e quanto, malgrado le misure adottate, siano pesanti i cali di fatturato e di redditività, gli aumenti dell’indebitamento, le erosioni delle basi patrimoniali delle aziende stesse. Le condizioni economiche e finanziarie delle imprese sono, dunque, notevolmente peggiorate; la diminuzione del fatturato è stata notevole, ma l’intensità del peggioramento è differenziata tra le diverse aree geografiche. Le conseguenze saranno più complesse e pesanti per la parte meno strutturata del Paese: così, le imprese del Sud, ancora una volta, saranno quelle maggiormente colpite.

Assopopolari, nella consapevolezza del ruolo di grande responsabilità e delicatezza al quale sarà chiamato il sistema bancario, ha messo a punto uno studio sulla dinamica del localismo delle banche popolari e del territorio nel Mezzogiorno. Il compito delle Popolari nel Mezzogiorno, resta, infatti oggi più che mai, essenziale per non disperdere quel patrimonio di imprenditorialità che, anche nelle condizioni estremamente difficili di questa particolare crisi, ha cercato di nascere, svilupparsi e ora resistere nelle regioni meridionali. Un compito che si basa su una visione di crescita condivisa e di mutuo sostegno, che permette di creare quelle condizioni favorevoli per usufruire, in misura ancora più efficace degli investimenti privati e pubblici e dei fondi strutturali europei.

Una nuova occasione – forse l’ultima – per ridurre il gap con le restanti aree del territorio nazio­nale e conquistare un nuovo percorso di crescita. È infatti evidente, e non sfugge ai più acuti osservatori, come la crisi attuale e il ricorso alle risorse messe a disposizione dall’Unione europea per il Recovery Plan rappresentino una straordinaria opportunità soprattutto per il Meridione che potrebbe favorire la riduzione di quel differenziale sviluppato nel corso di tanti decenni. Dallo studio di Assopopolari emerge anche quanto il peso che grava sul credito popolare sia ulteriormente accresciuto se si considera che, in seguito alla riforma del credito cooperativo, l’incisività delle Bcc – e non solo al Sud – rischia di essere condizionata dalla loro partecipazione ad holding nazionali con la indiretta conseguenza che le Popolari potrebbero rimanere le uniche banche indipendenti con direzioni generali localistiche presenti nel Mezzogiorno.

Così, la vocazione al finanziamento dell’economia reale dei territori diventa un punto di forza per il sistema produttivo meridionale ma, allo stesso tempo, attribuisce al credito popolare un’enorme responsabilità. La scelta strategica di non snaturare una identità al servizio delle comunità e di un crescente numero di sistemi produttivi locali che ha dato i propri frutti fino ad oggi, torna allora essenziale per uscire da questa ultima e drammatica crisi ma anche per affrontare la “questione meridionale” che il 160° anniversario dell’Unità d’Italia ci ripropone in tutta la sua interezza.