Draghi premier è una mossa che spiazza, che cambia la prospettiva, che ricontestualizza i luoghi comuni insopportabili, e cioè parlare dei pericolosi sovranisti o dei pericolosi comunisti. Cosa attendersi da Draghi? Per parlare di una persona, bisogna conoscerla. Mario Draghi come persona.

A fine anni 70, un giovane italiano sconosciuto all’inizio del Phd a Philadelphia si affaccia nei corridoi del Mit, Cambridge, in visita al tempio sacro dell’economia dove la competizione intellettuale è spietata e tutti corrono senza sosta. Mario Draghi si ferma, gli chiede “chi sei?” e si attarda per forse un’ora a dargli consigli su come affrontare lo studio dell’economia. Mario Draghi non urla. Conclude l’accettazione della Laurea Honoris Causa a Bologna con una citazione di Benedetto XVI: «Essere sobri e fare ciò che è possibile, e non rivendicare con il cuore ardente l’impossibile è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai forte come un grido irrazionale».

Mario Draghi come economista. Il terzo capitolo della sua tesi di Phd con il Premio Nobel Modigliani del 1976 discute (con 50 equazioni matematiche) del problema che le politiche ottimali nel lungo periodo possono non essere possibili nel breve periodo e viceversa: politiche apparentemente “buone” nel breve periodo non sono sostenibili nel lungo periodo. Ecco un esempio del primo problema: “L’aliquota fiscale ottimale nel lungo periodo potrebbe essere completamente destabilizzante nei prossimi sei mesi”. E del secondo: “Non riconoscere che il deficit pubblico diventa aumento del debito significa che le politiche di stabilizzazione del breve periodo sono miopi”. “L’urgenza del breve periodo è sempre presente e quindi le “riforme da attuare nel lungo periodo non si faranno mai”. Per gli addetti ai lavori, ricordo che nello stesso periodo Kydland e Prescott (premi Nobel 2004) pubblicarono il loro celebre: “Rules rather than discretion. The inconsistency of optimal plan” che formalizza lo stesso problema da un punto di vista microeconomico.

Mario Draghi come policy-maker. Nel discorso di saluto alla fine del mandato alla Bce si legge: «La storia mostra che i bilanci sono stati creati raramente per lo scopo generale di stabilizzazione, ma piuttosto per raggiungere obiettivi specifici nell’interesse pubblico». Inoltre: «La vera sovranità si riflette non nel potere di fare leggi – come vorrebbe una definizione legale – ma nella capacità di controllare i risultati e rispondere ai bisogni fondamentali delle persone: ciò che John Locke definisce come la loro “pace, sicurezza e benessere”». Il pensiero di Mario Draghi è che la capacità di prendere decisioni indipendenti non garantisce ai paesi tale controllo. In altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità.

Draghi sa bene la differenza fra sovranismo e sovranità. E a proposito di sovranità, la gioventù di molti politici italiani impedisce loro di ricordare che nel 1976 l’Italia fu costretta a chiudere per un mese il mercato valutario della Lira che era stata stracciata dalla svalutazione e su un treno “543 tonnellate di oro furono trasferite dalla Banca d’Italia alla Bundesbank in garanzia del credito ricevuto (che la Germania restituì nel 1979)”. Azzardo delle previsioni, scusandomi subito con il lettore: qualsiasi cosa io dica qui è sicuramente inferiore a quello che Mario Draghi saprà dire al Paese con il discorso programmatico. Draghi distinguerà fra azioni di breve periodo e di lungo periodo e saprà cifrare la redditività di ogni euro impegnato.

Nel Pnrr, Piano per la Salute, per il Lavoro, Piano per Istruzione e ricerca e lavoro saranno subito inquadrate per un’azione immediata e un ritorno immediato. Transizione verde al 2050, digitalizzazione e infrastrutture avranno la stessa attenzione, ma sapendo che gli effetti sono di medio periodo. Ma il Pnrr non basta, occorre far ripartire gli investimenti e gli investimenti sono funzione delle prospettive di aumento della domanda, e la domanda aumenta con la fiducia nel reddito futuro. Nel suo discorso non ci saranno le retoriche vuote che abbiamo ascoltato in questo periodo di europeismo, di patriottismo, di appelli alla omogeneità, di veti a chi non ha patenti di democrazia. Saprà mettere al primo posto un piano vaccinale, e magari potrebbe sorprenderci con progressioni della vaccinazione alla israeliana invece che alla arcuriana.

Metterà al centro degli interventi il sostegno all’impresa, nella consapevolezza che è l’imprenditore che muove i fattori della produzione: se l’impresa vive, il lavoro c’è. Finalmente ci sarà un piano coordinato per la ripresa dell’economia produttiva, invece degli spizzichi di ristori, cassa integrazione, banchi a rotelle e cartelle esattoriali singhiozzanti, dagli effetti incerti, non dissimili dal Paycheck Protection Program degli Usa. Draghi saprà affrontare risolvere il nodo del 31 marzo, del tipo whatever it takes per salvare le imprese e i lavoratori.

Il faro di Draghi sarà: se la crescita della Germania prevista sarà un sano +2.5% alla fine del triennio (-5.5% nel 2020; +3.5% nel 2021; +4.5% nel 2022), allora il piano per l’Italia non può essere di accontentarsi di saldo zero (-9%; +5.1%; +3.8%) come previsto dal governo giallorosso. Egli metterà l’Italia sul sentiero ad “alta velocità” degli investimenti pubblici e dei cantieri, coordinando gli interventi con le Regioni invece che dal centro.

Mario Draghi come leader. Nel Consiglio della Bce, egli ha ricordato, «i fondamenti delle nostre decisioni sono stati l’impegno coerente e incondizionato nei confronti del nostro mandato». Non aspettatevi accomodamenti: Draghi scrollerà l’albero e le foglie appassite cadranno. Ancora Draghi: «Condividiamo tutti la stessa devozione al nostro mandato e la stessa passione per l’Europa». I prossimi Ministri dovranno condividere la sua stessa devozione al mandato e all’Italia.