L’altra sera ho sentito Elly Schlein in televisione parlare della riforma Nordio, e contrapporsi duramente ad essa, e mi è venuto in mente Ulisse. Il personaggio di Ulisse, o Odisseo, è sicuramente una figura leggendaria, che funge da riferimento nell’epica del viaggio. Quando Campbell parla del viaggio dell’eroe, non possiamo fare a meno di pensare immediatamente a lui, ai Ciclopi, alle Sirene, alla maga Circe e alla battaglia finale con i Proci. Però Ulisse è anche sicuramente un grande bugiardo.

Tra i più famosi e apprezzati bugiardi spudorati che si conoscano. Eppure Ulisse era di Itaca (o di Cefalonia, ma questa è una storia ancora diversa) e non di Creta, che era considerata dagli antichi greci la patria dei mentitori, tanto è vero che arrivarono a coniare il termine “cretismo” come sinonimo di falsità (mentre cretino deriva da cristiano, crètin, a causa di un cristiano originario della Savoia, dove pare fosse molto spiccata la disfunzione tiroidea che determina il cretinismo). Ulisse, che era chiaramente un provocatore, spesso si presentava come un cretese, quasi ad avvertire i suoi interlocutori che avrebbe fatto uso di ogni menzogna e falsità pur di raggiungere i suoi obbiettivi.

A Ulisse e ai cretesi si ispira uno dei più famosi paradossi logici, il paradosso del mentitore. In fondo Ulisse dichiarandosi cretese, avvertiva di essere un bugiardo, e finiva di fatto per dire una delle poche verità che si concedeva. Ma cosa sarebbe successo se Ulisse avesse dichiarato più apertamente, senza far ricorso a questo escamotage, di essere un bugiardo? O se un cretese dichiarasse che tutti i cretesi sono bugiardi. Ci ritroveremmo davanti ad un paradosso logico. Se un bugiardo dichiara di essere un bugiardo la sua affermazione, se vera, è falsa e se falsa, è vera. Il paradosso del mentitore si deve appunto ad una sorta di sciamano cretese che, nel sesto secolo avanti Cristo, affermò che tutti i cretesi dicevano il falso. Inizialmente si tentò di relegare il problema, apparentemente irrisolvibile, nel recinto dell’autoreferenzialità.

Fu Eubulide di Megara, un paio di secoli dopo, a farne un vero e proprio rompicapo, affermando: “in questo momento sto mentendo”. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte ad una vera contraddizione e, dunque, ad un’affermazione paradossale, un’antinomia che contraddice le regole stesse del pensiero. L’affermazione è infatti vera se falsa, e falsa se vera. Non se ne esce. I tentativi di soluzione sono stati innumerevoli: logici, filosofici, matematici. SI può tentare una decostruzione del linguaggio per ridurre la portata della contraddizione, ma essa rimane e segnala i limiti del linguaggio, che non riesce a contenere e spiegare tutto. Torniamo a Ulisse e alla segretaria del PD.

Di fronte alle domande di un giornalista sulle ragioni della contrapposizione ad una riforma che prevede una cosa semplicissima, e cioè di rendere più netta e definita la terzietà del giudice verso pubblica accusa e difesa, ha balbettato delle motivazioni incomprensibili. Questo farebbe dipendere i giudici dalla politica e dall’esecutivo. E perché? Renderebbe meno certa l’obbligatorietà dell’azione penale. E perché, visto che dipende dai Pm? E allora è spuntata la difesa della Costituzione. E questa è la parte più incomprensibile. Infatti esiste la Costituzione scritta, che il Pd difende a spada tratta. Però poi c’è una costituzione materiale che spesso contraddice le cose scritte.

È proprio vero, per esempio, quello che recita l’articolo 27 della Carta, che l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva? Sono proprio veri gli articoli 13 e 16 della Costituzione, che ogni violazione della corrispondenza deve avvenire con atto motivato? E potremmo lungamente continuare. L’impressione di fondo è che di fronte ad ogni tentativo di modificare la Costituzione per avvicinarla ai valori che propugna o per riconoscere che di fronte ai cambiamenti sociali bisogna cambiare anche le norme fondamentali, venga preso come un atto sovversivo o di lesione ad una Costituzione immutabile.

E così quando il Pd dichiara di essere un partito riformista, o semplicemente innovatore, io penso ad Ulisse che diceva di essere di Creta. Mentiva, ma in fondo dava anche un indizio di verità. Il Pd pensa che l’innovazione si sia fermata il giorno in cui è stata varata la Costituzione. Si è raggiunta una bella perfezione formale e fa nulla che, nella realtà, molto di quello che vi è scritto sia inattuato o addirittura contraddetto dalla costituzione materiale.

Un paradosso, un’antinomia, difficilmente risolvibile. Il Pd, quando dice di essere un partito riformista, dice la verità perché difende una Costituzione che in se è difficilmente criticabile, a dice anche il falso, perché non vede che quella stessa costituzione ha finito per essere negata dalla sua difficile attuazione e dai mutamenti di contesto che sono inevitabili, e che un partito sinceramente riformista dovrebbe vedere con coraggio e intelligenza. Che non sono la furbizia e l’astuzia, in cui il nostro Ulisse era maestro.

Pietro Maiorana

Autore