La giornalista "usata come pedina di scambio" dal regime
Il politologo Shahin Modarres: “Cecilia Sala potenziale bomba per il governo, blitz di Meloni a Mar-a-Lago decisivo. Iran in declino, il suo popolo non arretra”

«La trattativa per la liberazione di Cecilia Sala sembra implicare un accordo tacito – o forse esplicito – che ha favorito il ritorno di Abedini in Iran». Il politologo iraniano Shahin Modarres, Direttore dell’Iran Desk presso ITSS Verona, commenta il parallelo tra la liberazione – avvenuta dopo una detenzione durata ventuno giorni nel carcere iraniano di Evin – di Cecilia Sala, ventinovenne giornalista del Foglio e di Chora Media e il rilascio, deciso dal ministero della Giustizia italiano, dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, fermato il 16 dicembre 2024 all’aeroporto di Malpensa su mandato di arresto degli Stati Uniti.
Pochi giorni dopo il rilascio di Cecilia Sala assistiamo alla rimessa in libertà di Mohammad Abedini. L’ennesimo esempio, da parte dell’Iran, della cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”?
Teheran ha un lungo passato di utilizzo sistematico della presa di ostaggi come strumento di pressione diplomatica. Questo modus operandi, consolidato nel tempo, è stato spesso impiegato per ottenere concessioni internazionali, inclusa la liberazione di propri agenti detenuti all’estero. Nel caso di Sala, risulta difficile ignorare la coincidenza temporale tra la sua detenzione e l’arresto di Abedini all’aeroporto di Malpensa e il loro successivo rilascio. La Repubblica Islamica, in particolare negli ultimi anni, ha mostrato una crescente propensione a trasformare dispute giudiziarie in partite geopolitiche, sfruttando le vulnerabilità delle democrazie occidentali, spesso inclini a negoziare piuttosto che affrontare il problema strutturale del “diplomatico ricatto” iraniano. Cecilia Sala è stata chiaramente usata come pedina per esercitare pressione sull’Italia.
La trattativa relativa alla liberazione di Cecilia Sala rimane segreta. Qual è la sua opinione in merito all’azione del governo e dell’intelligence italiani?
L’operazione condotta dal governo italiano, improntata al massimo riserbo, riflette una comprensibile necessità di discrezione, data la complessità e la delicatezza della vicenda. Tuttavia, occorre riconoscere che la detenzione di Cecilia Sala nella prigione di Evin a Teheran rappresentava una potenziale bomba politica per l’esecutivo di Giorgia Meloni. Un caso di questa portata, unito alla sensibilità dell’opinione pubblica italiana, avrebbe potuto sfociare in una crisi di legittimità capace di minare la stabilità del governo e, potenzialmente, portare alla sua caduta. In un primo momento, l’Italia ha cercato di esplorare opzioni legali per bloccare il processo di estradizione di Mohammad Abedini Najafabadi, invocando tecnicismi giuridici. Successivamente, ha preso in considerazione l’esercizio del potere di veto del Ministro della Giustizia, che successivamente ha deciso per la scarcerazione dell’iraniano. Ad aver segnato una svolta è stata l’azione decisiva della premier Meloni: un viaggio straordinario e riservato a Mar-a-Lago, in Florida, per incontrare il presidente eletto Donald Trump. Questo incontro, avvenuto persino all’insaputa di alti funzionari del governo, tra cui il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha permesso a Meloni di ottenere il consenso di Trump per bloccare l’estradizione di Abedini e negoziare la liberazione di Sala.
Ritiene che l’incontro fra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente eletto statunitense Donald Trump a Mar-a-Lago possa essere stato determinante per la liberazione di Sala?
Senza dubbio l’incontro riservato tra Giorgia Meloni e Donald Trump è stato determinante per il successo della liberazione di Cecilia Sala. Il fatto che Meloni abbia scelto di recarsi personalmente a Mar-a-Lago, assumendosi il rischio di un’operazione politica tanto insolita quanto critica, sottolinea l’importanza della vicenda non solo sul piano umanitario, ma anche su quello politico. Trump, con il suo caratteristico pragmatismo, avrebbe dato il proprio assenso per bloccare l’estradizione di Abedini, evitando così che il caso diventasse un problema durante il suo mandato. Questo via libera ha permesso a Meloni di negoziare direttamente con l’Iran, trovando una soluzione che garantisse il ritorno di Sala e la stabilità del proprio governo. Questa dinamica dimostra non solo l’efficacia delle capacità negoziali della premier italiana, ma anche l’importanza della relazione strategica tra Roma e Washington, che rimane un pilastro fondamentale della politica estera italiana.
La decapitazione dei vertici di Hamas e Hezbollah, la caduta di Damasco, i dissidi interni sulla scarcerazione della giornalista italiana: trova che Teheran stia perdendo terreno a livello internazionale?
Il regime iraniano sta indubbiamente perdendo rilevanza e forza a livello internazionale. La decapitazione dei vertici di Hamas e Hezbollah, alleati storici di Teheran, e il progressivo indebolimento del regime siriano di Bashar al-Assad hanno inflitto un duro colpo alla cosiddetta “asse della resistenza”, su cui l’Iran ha costruito gran parte della propria influenza regionale. Inoltre, la guerra condotta da Israele contro il terrorismo, intensificatasi dopo gli eventi del 7 ottobre, rappresenta una minaccia esistenziale per la Repubblica Islamica, che rischia di vedere compromessa la propria rete di alleanze. Parallelamente, il regime affronta crescenti difficoltà interne: un’economia in crisi, un sistema di intelligence vulnerabile e una popolazione sempre più ostile al governo. Questa combinazione di fattori suggerisce che Teheran stia entrando in una fase di declino, sia sul piano regionale che interno.
Restando sul fronte interno, pensa che le manifestazioni di questi ultimi due anni del movimento “Donna, Vita, Libertà” abbiano prodotto un reale cambiamento nella società e nella cultura iraniane?
Le manifestazioni del movimento “Donna, Vita, Libertà” hanno impresso cambiamenti profondi, nonostante le apparenze possano suggerire il contrario. L’adozione collettiva di uno slogan così emblematico testimonia una trasformazione culturale significativa. Questo motto, che richiama i valori fondamentali di uguaglianza, diritti umani e libertà, ha permeato l’immaginario collettivo della società iraniana, evidenziando l’esistenza di una classe media politicamente consapevole, nonostante i tentativi del regime di eroderla. In un contesto segnato da un’inflazione devastante e da una crisi economica senza precedenti, è sorprendente notare come le aspirazioni alla libertà abbiano prevalso sulle preoccupazioni materiali. Questo indica che il popolo iraniano ha raggiunto una nuova consapevolezza politica, rifiutando l’idea di riforme all’interno del sistema e aspirando invece a un cambiamento radicale. I due anni di proteste hanno tracciato una linea netta tra il regime e il popolo, che sembra ormai determinato a perseguire un futuro democratico e secolare.
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