Si racconta che la Chimera, nella cultura greca, sia un mostro dal fiato di fuoco che esce dalla testa di un leone che si allunga dal corpo di una capra e finisce in una coda di drago. Per i greci di Calabria, chimera, in grecanico significa semplicemente capra, – carne, corna e manto – perfettamente visibile, concreta. A loro, ai calabresi, nessuno lo chiede, cosa rappresenti il ponte per unire Reggio a Messina. Farebbero un’alzata di spalle, e darebbero le spalle al mare per specchiarsi nella fotografia dell’Aspromonte. Non è una capra il ponte, è quello che per un bambino africano sono i viaggi interstellari: roba per chi ha la pancia piena, giochi narcisi. Una trottola che si arrotola a un filo e torna sempre al punto di partenza.

Il ministro dei trasporti e delle infrastrutture, informa di ben tre ipotesi al vaglio del Governo: “Il ponte, il tunnel appoggiato sul fondo del mare e poi il tunnel vero e proprio, spiegando, “noi vogliamo che venga collegata la Calabria e la Sicilia sia su ferro che su strada che con una pista ciclabile, e serve uno studio trasportistico, poi una valutazione economica e ingegneristica”. Come dire, punto, a capo. Mentre la Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni, su proposta di Sicilia e Calabria, ha inserito il progetto di realizzazione del Ponte sullo Stretto nel Piano straordinario di infrastrutturazione, guardando al dibattito parlamentare sulla conversione del Decreto agosto che include il ponte, o i tunnel, nelle opere da finanziare con il Recovery Fund.

Anni di studi di fattibilità, progetti, società sciolte, contenziosi aperti e soldi divorati fra Scilla e Cariddi. Tutto svanito come una magia della Fata Morgana. Si torna a una commissione che dia un’idea su cosa sia possibile fare. Una cosa costosa, una chimera in senso grecanico. Che politicamente ormai è un afflato, con buona parte dei partiti d’accordo sulla necessità dell’opera, con l’Europa che la vuole. Con la gente che continua a restare divisa: fra chi vorrebbe, o sogna, la modernità, il lavoro che arriva, un Sud che attrae; e chi l’incanto divino, la bellezza infinita, le facce mostruose di Cariddi e Scilla, non le baratterebbe con ricchezze terrene. Fra le due, inconciliabili, oscillazioni, danza una capra, una chimera in carne, corna e manto.

La certezza che finirà tutto in fattibilità, progetti e poi società che si scioglieranno, contenziosi perenni. Perché comunque la si pensi, qualunque cosa si voglia, non si ergono templi partendo dai soffitti. La Calabria non ha pilastri su cui piazzarci un ponte: non ha strade né ferrovie che portino al Ponte, o ai tunnel, non ha la sanità, i servizi, non ha nulla di ciò che servirebbe per essere in un mondo normale. E dopo, dopo si potrebbe ragionare, se gli serva o no un ponte, o i tunnel. Se il ponte stia dentro una visione di Sud o solo dentro un miraggio distruttivo. Parlarne così, adesso, dopo anni di chiacchiere ed emorragie, è come parlare di un razzo sparato in cielo dal deserto. Buono a nutrire il sogno di avvicinare l’uomo a Dio, ma non di migliorare la vita dei mortali comuni, di quelli meno fortunati o capaci. Peggio, è chiudere la responsabilità di un’intera classe dirigente dentro un’unica chance, cercando già a chi addossare la colpa del fallimento.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.