I prezzi di luce e gas sono alle stelle, e ora con la nuova guerra in Ucraina, la situazione non può che peggiorare. Gianmarco Durante, responsabile commerciale della società campana Energy Total Capital, specializzata in energie rinnovabili, spiega al Riformista i possibili scenari.

Uno dei temi di maggiore preoccupazione è sicuramente il rincaro in bolletta. Qual è la situazione italiana oggi?
«L’aumento medio annuo del costo di luce e gas stimato per le famiglie italiane è di 1.000 euro. Anche le aziende ne risentono facendo lievitare i costi di circa 20 miliardi dal 2019 a oggi. Questi numeri spaventano anche il governo che, dopo aver introdotto interventi per fronteggiare l’aumento in bolletta nella fine del 2021, si sta adoperando per introdurre nuove decisioni in questo inizio del 2022. Basti pensare all’azzeramento degli oneri generali di sistemi; la riduzione dell’Iva sul gas; il rafforzamento dei bonus sociali luce e gas, per le famiglie che si trovano nelle condizioni di maggiore difficoltà».

Quali sono le principali motivazioni di questi rincari?
«Tra i principali protagonisti del rincaro sicuramente ha un ruolo preponderante il cambiamento del trend internazionale dei costi del settore energia. Il costo della materia prima è in notevole crescita a livello globale e ciò implica in primis maggiori costi per le aziende produttrici e venditrici di energia. D’altronde basta leggere la comunicazione di Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente)” Il prezzo spot del gas naturale al Ttf (il mercato di riferimento europeo per il gas naturale) è aumentato, da gennaio a dicembre di quest’anno, di quasi il 500% (da 21 euro a 120 euro/Mwh nei valori medi mensili); nello stesso periodo, il prezzo della Co2 è più che raddoppiato (da 33 euro a 79 euro/tCO2)1” per avere una visione più completa degli aumenti. Il Covid porta ancora strascichi dello squilibrio creato tra domanda ed offerta. Con la ripresa economica, nel secondo semestre 2021, si è verificato un picco di domanda di energia a fronte di un’offerta limitata e ridotta che ha determinato il record nella storia del mercato elettrico: una media mensile di 281,24 €/Mwh, con un picco orario di 533,19 €/Mwh. La Russia ha attuato una strategia contro l’Europa limitando l’ingresso del gas e con l’inizio dei contrasti con l’Ucraina è sceso del 43% la fornitura russa in Italia».

Date le tensioni internazionali e il conseguente aumento del gas dal quale produciamo la maggior parte di energia elettrica del Paese, quale pensa sia una strategia energetica alternativa e valida sul lungo periodo?
«Le manovre del Governo sono utili ma transitorie, e quindi potrebbero non bastare nel caso in cui ci possa essere un nuovo innalzamento di costi nei prossimi mesi. Gli impianti Fer (Fonti Energie Rinnovabili) sicuramente possono aiutare ad invertire il trend distruttivo per le famiglie e le industrie italiane. Purtroppo però il dato non è confortante. Sono ancora fisse al 37% della domanda elettrica e, nonostante il Pnrr, non riescono ancora a prendere il largo. Gli obiettivi sono chiari e per contrastare l’aumento della materia prima gas ed affrancarci dalle importazioni, dovremmo autorizzare per cominciare circa 60 Gw, che tra l’altro sono un terzo della domanda di allaccio già presentati a Terna. Con questi numeri si riuscirebbe a risparmiare oltre il 20% del gas importato ogni anno».

Quali sono le difficoltà che si incontrano nell’attuare una strategia energetica incentrata sulle fonti rinnovabili?
«Da un lato c’è la volontà di cambiare, dall’altro però una burocrazia molto lenta. Ci sono progetti presentati al Ministero della transizione ecologica fermi da mesi ma purtroppo resta tutto fermo perché non c’è organizzazione interna. Le Regioni invece restano bloccate e noi addetti ai lavori spesso ci ritroviamo ad assistere a diatribe tra enti perché non c’è una linea guida autorizzativa ben delineata. Un altro aspetto non di poco conto è la propaganda non vera sul consumo del suolo. I 60 Gw accennati prima da autorizzare suddivisi tra le varie fonti rinnovabili, richiederebbero una superficie pari a 48.000 ettari. Penso sia un “sacrificio” che lo Stato Italiano possa tranquillamente fare senza procurare alcun danno all’agricoltura».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.