Gli obiettivi
Il progetto di Orizzonti liberali: ripartire dai territori per restituire centralità alla partecipazione democratica
Se prendiamo la storia degli ultimi trent’anni si capiscono gli obiettivi del nuovo partito della democrazia liberale che si sta costituendo da parte delle varie componenti che si sono riunite a Milano con Marattin e Marcucci. In primo luogo un partito costituzionale, con circoli locali, delegati locali e congressi nazionali. Infatti quello che manca nel sistema politico italiano è la forma partito secondo l’indirizzo dell’art. 49 Costituzione.
Si potrà anche dire che questo non è il primo problema perché, come dice Putin, il mondo è in subbuglio e la democrazia liberale è un sistema obsoleto. Certo, la democrazia liberale nel mondo attraversa oggi un periodo di fragilità: l’America dopo il “colpo” del Campidoglio e ora, con l’avvento di Trump e di Musk non è la stessa, mentre l’Europa, che avverte ai suoi confini esterni la novità di due guerre, è impreparata alla difesa militare, mentre all’interno (in Olanda, Austria, Germania e Francia ecc.) i partiti liberali, socialisti e popolari sono in arretramento. Avanzano i populisti che hanno tratto forza, riconosciamolo, dalla reazione delle masse, particolarmente le più deboli, rispetto ad un’immigrazione incontrollata e ad un certo eccesso di regolamentazione Ue. Sul punto varrebbe porsi una domanda e cioè se è giusto pagare il prezzo del consenso alla democrazia in nome dell’accoglienza a tutti i costi e di tutti indiscriminatamente.
Ma il caso Italia in quanto a fragilità è un unicum. Se si guarda bene, la democrazia italiana è l’unica che non si fonda sui partiti. Non è certo la democrazia disegnata dai costituenti, ove i partiti politici hanno un ruolo centrale per la partecipazione dei cittadini “con metodo democratico”. Non è quello che, nonostante tutta la fragilità di cui si parla a destra e a manca, esiste nei vari stati d’Europa, ove i partiti liberali, socialisti e popolari, pur in crisi, continuano a dibattere nelle loro sezioni, eleggendo i delegati e più o meno celebrano effettivi congressi. Per tornare a questi ultimi trent’anni, tutti sappiamo che l’inchiesta di “mani pulite” ha colpito anche le responsabilità personali, ma in primo luogo ha colpito il sistema dei partiti e la classe politica tutta, cogliendo il sentimento dell’antipolitica che è sempre latente in ogni società dal tempo dei tempi. La classe politica storica ed ideologica, che ha avuto anche le proprie infamie, aveva comunque assicurato – di congresso in congresso – un selezionato personale politico, di generazione in generazione con una continuità che nemmeno il fascismo aveva reciso tutto.
Ogni Paese democratico ha una classe politica e per quanto riguarda l’Italia, basta scorrere i nomi di chi ha partecipato alla Costituente e ai primi Parlamenti, e si vede che dopo il ventennio, sono ritornate le originarie famiglie politiche storiche e ideologiche, spesso nelle stesse personalità, da Sforza, Togliatti, Nenni, Einaudi, De Gasperi e Croce e tanti altri che avevano operato prima del fascismo. Non era l’età dell’oro, ma certo dopo il ’94, si apre la voragine dei partiti personali, del leaderismo e del cesarismo, con tanto di nome sulle schede, con programmi di facciata, senza congressi, senza sezioni, senza delegati con tanti affezionati tifosi e con liste per la Camera e Senato di nominati dai leader proprietari del proprio partito, secondo per lo più, criteri di fedeltà o, quanto al Pd, al massimo col bilancino di correnti interne.
È ritornato anche il periodo del muro contro muro sulla base di una certa faziosità e della contrapposizione di slogan a slogan (almeno prima erano ideologie contro ideologie), e così dal berlusconismo idolatrante contro antiberlusconismo viscerale, giungiamo ad oggi, nell’edificante dibattito tra “faccette nere” e “zecche rosse” mentre i nodi storici della crescita, del debito pubblico dell’appiattimento dei salari, della fine dei ceti medi, della sanità pubblica, sono ridotti e vuoti strumenti propagandistici da agitare nella contrapposizione.
Tutti lo sappiamo, ma è l’età del cesarismo che parte dall’antipolitica, che la incrementa e porta al disinteresse, all’astensionismo a fronte di un elettorato cui è precluso scegliere un proprio rappresentante con le preferenze o con candidati nei collegi in un maggioritario effettivo che in Italia è solo una finzione. Sappiamo quanto è difficile la riforma della legge elettorale che oltre a impedire la scelta, costituisce una camicia di forza del sistema politico, portando a un bipolarismo innaturale, ove spesso le differenze e la concorrenza è all’interno stesso delle alleanze. Il maggioritario importato in Italia nella sua particolare deformazione del “Rosatellum” non corrisponde alla storia politica italiana, mentre nei Paesi anglosassoni il maggioritario, quello vero dove l’elettore sceglie il candidato, ha una tradizione secolare che nasce con la democrazia stessa.
In questo quadro i liberali devono proporre all’elettorato il modello e l’esempio di un partito, con circoli nei territori, congressi locali con delegati ed un congresso nazionale. E dopo trent’anni, si badi bene, la novità, sarebbe già nello strumento della Costituzione di un partito costituzionale. Altra novità: uno strumento, un partito della democrazia liberale. Alcune questioni sono state ben chiare nell’ambito del dibattito di sabato 24 novembre, ma è stato bene ricordarle, perché (con buona pace di Putin, Orban, degli islamici e dei cinesi), si vuole ribadire la validità del sistema dello stato di diritto perché – al di là della stanchezza e della noia, dopo settant’anni di relativa serenità o opulenza prevalente – esso è quanto di meglio realizzato dall’illuminismo in poi. E ciò perché il liberalismo è la dottrina dei limiti del potere pubblico che pone al centro la libertà dell’individuo. E perché lo stato liberale è minimo nel senso che non è pervasivo nella vita dei singoli e forte nell’impedire i soprusi che gravano sugli individui e sulla società.
La stessa diffidenza per un potere assoluto vale in economia, nella tutela della concorrenza e nel contrasto ai monopoli privati e all’invadenza di quelli pubblici derivanti dall’intervento dello Stato in economia. Questo modello, con tutte le sue carenze, ha comunque riscattato grandi masse dalla povertà e riconosciuto i diritti dei singoli in quelle aree del mondo che vengono chiamate Occidente. Lo spazio elettorale c’è – e lo hanno detto tutti – perché alle elezioni politiche del 2022 la lista del defunto Terzo Polo, preparata all’ultimo momento, senza simboli radicati nella società e sulle schede stesse, ha registrato circa l’8% (e il 16% a Milano e con successi in varie città). Persino alle sfortunate elezioni europee le liste separate hanno ottenuto complessivamente intorno all’8%.
Dunque c’è nell’elettorato una domanda, al di fuori delle gabbie del centrodestra e del centrosinistra, che in questi schieramenti non si riconosce. Si tratta, così, di costruire un’offerta politica che risponda alla domanda persistente degli elettori: un partito dei liberali, vincendo, questa volta, gelosie personali e ripicche (ci sono sempre state) e costituire un punto di riferimento di quel tanto di europeo, democratico e liberale che esiste, perché esiste davvero, in Italia.
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