Sir Keir Starmer è in difficoltà: probabilmente il primo ministro britannico non vede l’ora che sboccino i primi narcisi a Downing Street. È stato un inverno lungo e buio, sia economicamente che politicamente. Il disastroso mini-budget autunnale del suo cancelliere; l’intervento di Elon Musk sullo scandalo delle terribili “grooming gangs” e l’ipotesi di finanziare il partito di Nigel Farage; le dimissioni del suo stesso ministro anti-corruzione a causa di un’indagine per corruzione. A tutto ciò si aggiungono i sondaggi secondo cui ora il Partito laburista si trova dietro lo stesso Farage. Starmer avrebbe bisogno di una pausa, proprio come facevano in questo periodo dell’anno David Cameron e Tony Blair a St. Barts o Mustique, quando – per usare le parole di Cameron – era il momento di “chillax” (di riposo).

Nonostante queste mini-catastrofi quotidiane, la nave dell’amministrazione Starmer continua a navigare. Non ci sono vere minacce all’interno del suo partito né movimenti per una sua sostituzione. I Tory sono semplicemente irrilevanti, ancora più confusi nei banchi dell’opposizione di quanto non fossero al governo. E mentre Farage cerca di imporre disciplina tra le fila dei suoi anarchici militanti, loro si sottraggono. Efficaci nella distruzione dall’opposizione, sembrano ancora lontani dal poter conquistare una maggioranza di voti nella gran parte dei collegi elettorali del Regno Unito, o persino dall’incassare un numero significativamente più alto dei loro attuali 5 seggi.

Politicamente, il Regno Unito è in stallo. Eppure dal punto di vista economico non va tutto bene nella Gran Bretagna post-Brexit, 5 anni dopo l’uscita dalla Ue. Il problema fondamentale è la crescita: quella media del PIL pro capite tra il 2008 e il 2023 è stata di un misero 0,7%; la crisi finanziaria e l’austerità hanno avuto un impatto forte che continua a sentirsi. Ancora più deprimente è il confronto con gli Stati Uniti – che l’Unione europea ora fa con ossessione quasi sadica – dove il Regno Unito si classificherebbe appena sopra lo Stato più povero, il Mississippi, al 49° posto su 50.

Comunque le statistiche generali non raccontano molto di ciò che alimenta il malcontento sociale. Il Regno Unito ha un problema di crescita regionale: Londra è semplicemente troppo importante. Sebbene questo non sia sorprendente, la sua centralità è straordinaria: in sua assenza, secondo i dati del Financial Times, il PIL pro capite medio crollerebbe del 14%. Il confronto con altre realtà come Germania, Stati Uniti e Italia è netto: sebbene vi siano ampie differenze regionali nel PIL pro capite, in nessuno di questi paesi la concentrazione della ricchezza è così estrema in un’unica città. Questa disparità regionale non solo ostacola la capacità della Gran Bretagna di rilanciare la crescita – il che diventa molto più difficile quando è solo una Regione a trainare tutto il paese – ma crea anche gravi squilibri e disuguaglianze sociali. Mentre altrove il populismo è stato alimentato dal divario tra città e aree rurali, nel Regno Unito Londra sta assumendo sempre più le sembianze di un paese a sé stante.

Si temeva che la Capitale avrebbe sofferto più di altre Regioni per la Brexit, ma finora è accaduto il contrario. Le esportazioni di servizi in cui Londra è specializzata hanno tenuto relativamente bene, mentre il commercio di beni è crollato. E l’economia è cresciuta del 4% rispetto al 2019, contro la tendenza nazionale alla stagnazione o al declino. Londra è l’unica delle 10 Regioni di Inghilterra e Galles ad aver registrato una crescita in ogni trimestre dal punto più basso della recessione pandemica nel secondo trimestre del 2020, mentre altre 3 (incluso il Sud-Est) sono entrate in recessione negli ultimi 12 mesi. A preoccupare ancora di più è il quadro per il futuro. Londra sembra aver raggiunto il suo apice pre-Brexit. Il suo status di principale hub finanziario globale sta scivolando, e la crescita della produttività è in ritardo rispetto al resto del paese negli ultimi 15 anni. L’economia pre-crisi finanziaria era costruita su una finanza spregiudicata; ora i settori emergenti (come biotech) e startup non sono ancora abbastanza grandi per colmare il divario di produttività.

Italia e Francia hanno avuto una crescita del PIL pro capite ancora più basso rispetto al Regno Unito dal 2008 al 2023. A Roma è stata praticamente nulla. Ma almeno i divari regionali tra la Capitale e il resto del paese non sono così marcati. Questo offre un motivo di speranza: se le aree metropolitane italiane riuscissero a stimolare crescita e produttività, nonostante la burocrazia soffocante, potrebbero diventare motori di sviluppo per l’intera economia. Lo stesso vale per l’Europa in generale. I tassi di risparmio e investimento in Italia e nel resto d’Europa sono più alti di quelli del Regno Unito. Non manca il capitale. Sebbene l’attenzione sia spesso rivolta al modo in cui rilanciare l’economia a livello macro, l’esempio della Gran Bretagna dimostra che – almeno fino a poco tempo fa – a volte sono le economie regionali a trainare l’economia nazionale.