“La sovranità prevista dalla Costituzione si compone di tanti tasselli, tra cui la libertà di volare autonomamente” erano le parole contenute in una lettera aperta che nel 2021 l’allora leader dell’opposizione Giorgia Meloni scriveva al presidente del Consiglio Mario Draghi, che aveva deciso di spacchettare la fallimentare Alitalia per separare la bad company da una nuova società da rimettere sul mercato, dopo un ulteriore investimento pubblico di un miliardo e 300 milioni.

“A chi affideremo tutto questo con una ‘mini Alitalia’ ripulita del nome e del glorioso marchio?” chiedeva Giorgia Meloni rivolgendosi ai lavoratori Alitalia: “Il governo Draghi e il management di ITA hanno massacrato la nostra compagnia di bandiera, hanno avviato licenziamenti di massa e messo migliaia di famiglie per strada. Fratelli d’Italia continuerà a lavorare per dare all’Italia un governo di patrioti che torni a difendere l’interesse nazionale italiano, che torni ad avere una grande compagnia di bandiera degna di una potenza economica, industriale e culturale come l’Italia. Mi auguro che il presidente Draghi smentisca l’ipotesi di un’accelerazione del processo di vendita di Ita a Lufthansa”.

La trattativa stava per chiudersi nell’estate 2022, e persino il futuro ministro Crosetto ebbe il coraggio di ammetterlo: “Non possiamo ancora permetterci si spostare ancora in avanti le scelte su Ita e Ilva. A settembre avremo già troppi altri problemi”. Ma Meloni e Salvini ebbero la meglio, e a elezioni ormai convocate, costrinsero Draghi a interrompere la vendita. Fratelli d’Italia vince le elezioni, e che fa il governo Meloni? A dicembre vara un provvedimento che fissa nuove condizioni ancora più vantaggiose (verso il privato) per la cessione di Ita. E l’unica richiesta che arriva è quella di Lufthansa. Che arriva ad un accordo per un costo inferiore a quello stabilito da Draghi. E nel frattempo ci siamo persi pure il partner privato italiano, Msc.

Bisogna ricordare però che la vendita a Lufthansa era già stata avviata dal governo Gentiloni nel 2018. Ma comportava l’esubero di duemila dipendenti, e fu interrotta sotto elezioni per le proteste sindacali. Se ora si è realizzata è solo perché con lo spacchettamento effettuato dal governo Draghi (esattamente come si è fatto per Ilva), è stata dimezzata la flotta, lasciando 4 mila dipendenti in cassa integrazione sotto amministrazione straordinaria. Proprio ciò che Meloni diceva di voler impedire. Ma senza quell’operazione nessun azienda l’avrebbe presa, lasciando tutta la compagnia in perdita come negli ultimi 30 anni. Durante i quali abbiamo versato, per tenerla in piedi, 15 miliardi di euro.

Nella lettera del 2021 a Draghi, Meloni ha fatto anche un mea culpa rispetto alle perdite: “Lo diciamo anche con autocritica, visto che fummo in maggioranza con i “capitani coraggiosi” del 2009, ma non abbiamo dogmi, si tentano soluzioni e se ne misurano gli effetti”. Esattamente quello che il suo governo ha fatto oggi: rimangiarsi il dogma della compagnia nazionale e del diritto costituzionale al volo sovrano. Però oggi Giorgia Meloni tace, e piuttosto che ammettere che aveva ragione Draghi, lascia che sia Salvini a prendersi il merito di una trattativa che pure lui aveva contrastato.

Ma quanto è costata agli italiani questa ennesima perdita di tempo sull’altare dello sbandierato sovranismo? Tutto tenendo segreto il contratto di vendita e il piano industriale. E con la solita spada di Damocle della magistratura, che potrebbe azzerare tutto se decidesse di accogliere il drappello dei ricorsi sventolati dai sindacati.