Caro Monsignore, il cristianesimo ci offre un sistema di valori molto moderno e complesso. Così complesso da essere, ancora oggi – duemila anni dopo Gesù – molto più avanzato del sistema di idee maggioritario ed egemone nell’opinione pubblica. Tra questi valori, però, ho l’impressione che ne manchi uno: la libertà. Dov’è la libertà nel Vangelo? Dico la libertà come valore positivo e valore guida. Io non l’ho trovata. O al massimo l’ho trovata compresa in altri valori, come la carità, la fratellanza, l’amore. Ma la libertà è un valore che non vive se è subordinato ad altri valori. Non sopravvive per la sua natura libera e assoluta. Non è, quello della libertà, il punto debole del cristianesimo?

Piero Sansonetti

Assolutamente no! Caro Direttore ti dico, invece, che la libertà è un punto cardine della visione cristiana dell’uomo. Per iniziare: è il filo conduttore di tutte le parabole che trovi nel Vangelo. Il Samaritano? Liberamente si ferma a soccorrere l’uomo ferito al bordo della strada. Il figliol prodigo? Liberamente se ne è andato e ha dilapidato il denaro del padre che ha accettato la scelta del figlio e altrettanto liberamente lo ha riaccolto. Continuiamo con i discepoli: liberamente scelgono di abbandonare la pesca e di seguire Gesù in un sogno assieme affascinante ma anche rischioso. E andando alle prime pagine della Bibbia troviamo Abramo: quando Dio chiede di sacrificare la cosa più cara al mondo, suo figlio Isacco, poteva dire di no, invece accetta e viene ricompensato per la prova di fedeltà. E in maniera quasi archetipa si staglia la storia di Israele legata insieme dal filo d’oro della libertà. Fin dalle origini, quando Dio scese per liberarlo dalla schiavitù del faraone dell’Egitto e condurlo verso un paese libero da ogni schiavitù, tranne da quella di confrontarsi con Dio: un confronto tra due libertà. Che è anche drammatico! Essere fatti a somiglianza di Dio vuol dire che non siamo una replica ma soggetti capaci addirittura di confrontarsi con Dio.

Non c’è bisogno di dilungarmi su questo. La tua domanda si concentra sulla storia dei cristiani. E non c’è dubbio che più volte è accaduto che la libertà sia stata compressa e anche «maltrattata». Non mi sembra comunque che si possa avanzare alla Chiesa cattolica un’accusa specifica in questo senso, visto che ci sarebbe da obiettare in modo ancor più duro verso altre «fedi», comprese quelle politiche. Pensiamo ai totalitarismi e ai nazionalismi del secolo scorso, o ai «populismi» manipolatori e ai “sovranismi” di oggi. Potrei aggiungere i rischi che la libertà sta correndo rispetto alle nuove tecnologie. Cito solo qualche passaggio del volume Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff: «I capitalisti della sorveglianza rivendicano la libertà di disporre della conoscenza, e poi fanno leva sul vantaggio che questa conoscenza offre loro per ampliare e difendere la propria libertà… le nostre vite vengono raschiate e vendute per sovvenzionare la loro libertà e la nostra sottomissione, la loro conoscenza e la nostra ignoranza su tutte le cose che sanno». È solo un cenno del rischio che stiamo attraversando. L’orizzonte non è affatto roseo per la libertà. Anzi appare più nebuloso che in passato.

È vero peraltro che la libertà – anche per l’appannamento a cui anche uomini di Chiesa hanno purtroppo contribuito – è stata l’ideale civile più celebrato e più ostinatamente perseguito nella storia moderna. Pensiamo alla Rivoluzione francese che ne ha fatto uno dei tre pilastri del suo vessillo, assieme all’uguaglianza e alla fraternità. Anche la rivoluzione americana ha visto nella libertà la fiaccola del progresso, come mostra la “statua” posta all’ingresso del porto di New York. Non c’è dubbio che la libertà è una luce, un faro, su una visione positiva del ruolo dell’umanità nel mondo. Quelle rivoluzioni poterono raccogliere quella fiaccola – magari anche in polemica con la Chiesa del tempo – perché l’idea di libertà e il suo stesso lessico erano entrate nella tradizione culturale dell’Occidente proprio grazie al cristianesimo. Forse non sempre grazie a vescovi o a predicatori e magari neppure nella forma di una dottrina, ma attraverso la vita e la testimonianza del primato di Dio e del Vangelo che l’intera comunità dei discepoli ha vissuto e testimoniato. Certo, senza dimenticare inadempienze e tradimenti.

Tu mi chiedi se ci sia – e comunque dov’è – la libertà del Vangelo! È nel Vangelo stesso e in tutti coloro che – ripeto, anche con tutti i loro limiti – cercano di testimoniare il primato di Gesù, salvatore. Questo è il cuore della fede cristiana e della stessa libertà: solo Gesù è il “Signore”. Nessun altro. E Paolo – cantore della libertà cristiana – scriveva: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Galati 5,1). Veniamo all’oggi. Il Catechismo della Chiesa cattolica dedica al tema della libertà pagine importanti. E soprattutto «lega insieme» due termini: libertà e responsabilità. Scrive: «la libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé.

La libertà è nell’uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine»(par. 1731). La frase importante è quella finale: la libertà ha senso se ordinata a Dio. Insomma, la libertà è anzitutto un dono e un compito. Da far fruttare e moltiplicare. Non certo da trattenere solo per se stessi. Non è una visione «ingenua»: nel senso che non si afferma il valore della libertà come un assoluto. La libertà è sempre «per» qualcosa: serve se viene utilizzata per fare il bene di tutti. Serve, la libertà, se è al servizio della giustizia, della pace, della fraternità universale. Quando è semplicemente fine a se stessa, si trasforma nella facoltà di rimuovere ogni affetto e ogni legame come un limite insopportabile: fino a percepire l’esistenza dell’altro come un impaccio da abbattere. Non è la nevrosi collettiva del nostro tempo?

In virtù di questa piega delirante della libertà, la concezione della libertà come dignità dell’essere responsabili è certamente una visione in controtendenza rispetto a quella che concepisce in maniera “libertaria” – ossia sganciata da tutti e da tutto – la libertà, centrata tutta sul soggetto che ignora la trama delle relazioni che rendono ragione della libertà stessa. La libertà nel senso individualistico del termine da un lato è una finzione, dall’altro una scusa per giustificare la prevaricazione. Fin dal concepimento siamo legati a un dono, quello di un padre e di una madre. Siamo “sociali” per «costituzione». Certo, ognuno di noi può pensare di essere libero sciogliendosi dagli altri e percorrendo la strada della ricerca del proprio benessere, ignorando gli altri. Anche se tutti giudichiamo «aride» persone così.

Eppure, descriviamo proprio in questo modo la libertà come vertice assoluto della dignità: pensa, se fossimo veramente “tutti” così, quanto durerebbe la vita umana su questo pianeta? Intanto, già vediamo a quali vette di solitudine e di abbandono porta l’ideale di un’autoreferenzialità perseguita a tutti i costi, a scapito degli altri e ignorando la trama delle relazioni. Abbiamo sotto gli occhi le conseguenze planetarie del dissesto provocato da una visione economica che privilegia alcuni settori sociali a scapito degli altri. L’élite dei liberi e uguali genera schiavi e caste. Il neo-liberismo individualistico esalta appassionatamente la libertà individuali come un valore sacro, ma pratica burocraticamente sacrifici umani di proporzioni inedite.

La libertà cristiana si declina con la responsabilità verso se stessi e verso gli altri spendendo la vita per il «bene comune» di tutti, come il “proprio bene”. L’importanza cruciale di questa dimensione collettiva, sociale e politica, della libertà, ha registrato un cambio di passo anche nell’attenzione del cristianesimo contemporaneo. Questo fatto ha consentito il superamento di qualche resistenza opposta – inizialmente in chiave antimoderna – proprio nei confronti del puro e semplice riversamento dell’arbitrio individualistico nell’ambito delle istituzioni pubbliche. Non c’è dubbio che il Concilio Vaticano II ha fatto fare alla Chiesa cattolica tutta un balzo in avanti davvero importante. Mi riferisco in particolare alla Dichiarazione Dignitatis Humanae del 1965.

Ecco un passaggio del testo che vale la pena citare: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società».

La fede cristiana stessa non è concepibile senza la libertà. Dunque la libertà religiosa, come ordinamento civile, visualizza anche nello spazio collettivo l’importanza del fatto che a tutti sia garantita, proprio in questo campo, questa premessa di libertà, incompatibile con la costrizione politica. È un grande passo avanti e da qui deriva un impegno della Chiesa cattolica che si è sostanziato come contributo alla Dichiarazione del 1975 al termine della Conferenza di Helsinki. Lì venne stabilito, tra l’altro, che la libertà religiosa è alla base e al fondamento di tutte le altre libertà civili. Fu importante l’ispirazione di Paolo VI a far partecipare una delegazione vaticana ai lavori di quella nuova fondazione delle basi europee. E se ripensiamo al Concilio e a Helsinki, a paragone della storia europea moderna (e non solo!) e a paragone con quanto accade oggi in tante zone del mondo, possiamo comprendere il potenziale di civiltà del diritto di queste dichiarazioni.

Per la Chiesa ha significato la definitiva uscita da un’idea di religione da imporre. Per gli Stati aderenti, al centro della loro azione nel governo va inserito il rispetto delle più intime convinzioni di ogni cittadina e di ogni cittadino. E la religione è forse la prima e più importante, nella misura in cui informa la coscienza di se stessi, cementa la nostra appartenenza a un sistema di valori, è un indizio importante sul senso della vita di ognuno. Non a caso il controllo delle idee e delle credenze religiose è la prima via tentata da ogni regime impostato su restrizioni e controlli.
Come vedi, caro Direttore, nessuna falla di principio, anche se la storia è complessa. Certo, oggi c’è un ulteriore passaggio da compiere. E da parte di tutti gli uomini di buona volontà: farsi carico della costruzione di una vera e propria «fraternità» universale. Insomma, il passaggio al “positivo” dell’emancipazione civile della libertà responsabile. La libertà non può restare ristretta alla Chiesa o all’Occidente e neppure essere un patrimonio di pensatori e intellettuali «ispirati».

La libertà diventa autentica se ci porta a unire tutta l’umanità, facendola finita con le distinzioni basate sul sesso, sulla cultura, sulla presunta appartenenza etnica come scusa per introdurre limitazioni. Esiste invece una fraternità universale da cui ripartire. Senza un’armonica correlazione di diritti e doveri condivisi, la giusta tutela della persona e della sua inerente dignità non è più garantita, e la vita della comunità non diventa affatto più umana. Un solo esempio: troppo spesso assistiamo alla riduzione del grande tema dell’aspirazione umana alla felicità nel basso profilo della ricerca della gratificazione psicofisica, che diventa criterio e misura unica della “qualità della vita” quotidiana. In realtà, a ben pensarci, il vero benessere è quello che scaturisce dal volersi bene reciprocamente, dall’essere bene-amati, cioè amati e capaci di amare, accolti e accoglienti, “misericordiati” (come ama dire Papa Francesco) e misericordiosi. «È legge dell’universo che non si possa fare la nostra felicità senza far quella degli altri», affermava l’inventore della economia civile, Antonio Genovesi, nel lontano ‘700.

La sfida che la vita umana di più di sette miliardi di persone oggi impone è dunque quella del “noi”: ossia, quella del ripensarsi dentro una trama di relazioni che certo segna, limita, si impone, ma proprio per questo non abbandona, continua a generare, rimane solidale con la speranza di una salvezza che ci possa riconciliare, insieme, con la speranza condivisa della vita.