Con una sentenza di martedì scorso, il Consiglio di Stato ha dovuto ribadire per l’ennesima volta che qualsiasi proroga delle concessioni balneari, anche se disposta dalla legge, è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.

Quindi qualunque proroga deve essere disapplicata e le amministrazioni pubbliche devono mettere a gara le concessioni, tutte scadute al 31 dicembre 2023, data ultima indicata dai giudici perché le proroghe potessero considerarsi legittime.

La questione non ha più margini d’incertezza giuridica, se non per aspetti di dettaglio. Nessuno dubita seriamente che si possano prorogare le concessioni in essere con legge o con qualsiasi altro provvedimento, sfuggendo così alla libera concorrenza imposta, in questo come in tutti i mercati, dal diritto dell’Unione che, com’è noto, prevale su quello nazionale.

Ma allora perché la vicenda è tornata all’attenzione dei giudici? La risposta viene da lontano, e rimanda al rapporto tra l’ordinamento giuridico italiano e il mercato, che altro non è se non un’infrastruttura giuridica di diritto pubblico, retta dal principio generale di concorrenza.

Il modello economico delineato dalla Costituzione è un modello misto, nel quale il libero mercato convive con l’intervento pubblico finalizzato a correggerne le dinamiche verso fini di utilità sociale.

Tuttavia, il tema è affrontato dai costituenti in modo, per certi versi, contraddittorio. La diffidenza nei confronti del libero mercato accomuna, in qualche modo, i comunisti e i democristiani; una «unione innaturale tra la falce e il martello e la croce e l’aspersorio», per dirla con le parole di Francesco Saverio Nitti.

Ne verrà fuori un quadro nel quale tutela del mercato e tutela della singola impresa si confondono, fino a creare un’economia assistita nella quale il rapporto tra politica e imprenditoria sarà troppo stretto e troppo interdipendente.

La concorrenza, come principio pubblicistico di regolazione del mercato atto a garantire parità tra i concorrenti, entrerà poi nell’ordinamento italiano dalla porta europea, affermandosi progressivamente fino alla sua piena attuazione con l’approvazione della legge del 1990 che istituisce l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

La piena apertura dell’ordinamento italiano al libero mercato e alle sue regole fondanti avviene, quindi, in ragione dell’adesione dell’Italia alle comunità europee. È un percorso progressivo nel quale quanto più i mercati europei si integrano, tanto più il principio di concorrenza si afferma pienamente e diffusamente.

Ma si tratta di un percorso accidentato, nel quale le resistenze sono molte. Forse non è un caso che la legge sulla concorrenza, che dovrebbe avere cadenza annuale, sia stata approvata solo due volte negli ultimi quindici anni.

In questo quadro, le concessioni balneari sono solo uno dei tanti casi di tensione tra concorrenza e protezionismo che il nostro sistema ha generato. Tuttavia, si tratta di una vicenda particolarmente rilevante perché, da un lato, il bene da mettere a gara è, di fatto, un bene del quale dispone l’Italia in modo particolare rispetto agli altri Paesi europei; dall’altro, perché alcune questioni di dettaglio vanno effettivamente affrontate.

Alcune di queste erano state oggetto di una proposta del Governo Draghi, poi abbandonata perché evidentemente le resistenze politiche non consentivano di coltivarla. Si trattava di una legge delega, che avesse, come principali criteri direttivi, quelli di prevedere un limite alla concentrazione delle concessioni in capo ad un unico soggetto, di prevedere quale criterio premiale il rapporto tra tariffe e servizi offerti, nonché un indennizzo per i gestori uscenti e, infine, di tenere conto dell’eventualità in cui la concessione fosse stata l’unica fonte di reddito negli anni pregressi.

Era una proposta ragionevole, come naturalmente ce ne possono essere altre. Ma il punto è che bisogna regolare la materia anziché continuare a combattere una battaglia che ormai è largamente persa. Il mercato è sì un insieme di regole che disciplinano l’attività economica, ma è anche l’insieme delle spinte che l’iniziativa economica esercita sulle norme giuridiche che la regolano.

Volendo schematizzare, si può dire che un mercato regolato da discipline razionali ed equilibrate funziona bene e produce benessere, mentre un mercato non regolato o regolato male dal diritto pubblico genera posizioni di privilegio e molte altre storture.

Una sola cosa non si può fare per legge ed è fermare l’attività economica, come dimostrano plasticamente tutti i fiorenti mercati illegali.

In conclusione, sarebbe bene che i gestori delle concessioni e i politici che ne cavalcano il disagio comprendessero che la partita va giocata sul piano delle regole che disciplineranno l’apertura del loro mercato alla concorrenza e non sul contrasto alla concorrenza.

Su questo piano la partita è già finita e il mercato entrerà comunque, ma in modo disordinato e senza nessuna tutela degli operatori più deboli e dei consumatori, alla cui salvaguardia sono in ultima analisi volti il principio di concorrenza e la disciplina pubblicistica del mercato che ad esso è ispirata.

Francesco Marone

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