“In principio era il verbo (il logos) e il verbo era vicino a Dio e il verbo era Dio”. Comincia così quello che in liturgia si chiamava l’Ultimo Vangelo, e che in realtà è il primo vangelo, è la premessa, il prologo del cristianesimo.
Caro Monsignore, ammetterai che è un concetto un po’ complicato. Da ragazzino, quando ancora credevo e andavo a messa, sentivo leggere tutte le domeniche questo brano dal prete, per di più in latino, e non capivo niente. Mi sembrava una specie di poesia, un testo ritmico.

Prima di tutto va sciolto il nodo tra vicinanza e identità. Cioè bisogna capire se il logos coincide con Dio o l’affianca. Quindi se esiste un Dio differente (e superiore?) al logos o no. Poi bisogna capire cos’è il logos. La razionalità? La ragione? Lo spirito? Il sentimento? Tutto questo insieme? E tutto questo è Dio, e quindi Dio è una astrazione ed è la premessa all’esistenza, ma non è una persona e dunque non ha identità. In questo caso il confine tra fede e ragione diventa sottilissimo, e anche la distinzione tra credente e non credente. Lo so che tu penserai che questa mia è una mania: cioè quella di negare la fede come elemento essenziale del cristianesimo. Forse hai ragione.

Piero Sansonetti

Caro Direttore, l’inizio della tua domanda ha riportato anche me indietro negli anni. In effetti, la Messa, come si celebrava prima della riforma liturgica del Vaticano II, terminava con la lettura – ovviamente in latino come tutta la celebrazione – del “prologo” del vangelo di Giovanni. Era una scelta risalente a dopo il Concilio di Trento. Si voleva dare risalto all’inizio (prologo) del Vangelo di Giovanni. E ascoltarlo tutti i giorni, appunto, alla fine della Messa (di qui “ultimo Vangelo”). Era l’unica parte dei quattro Vangeli che si ripeteva quotidianamente. In effetti rappresentava una sorta di brevissima sintesi del mistero di Gesù, che ha le sue radici in Dio e la sua destinazione fra gli uomini. Si usciva di chiesa al termine della Messa con questa pagina evangelica in testa, Fu senza dubbio una scelta efficace, dato che anche a te è rimasto impresso il suo inizio solenne e misterioso come un inno. Incantava talmente la asciutta solennità di quell’inizio, anche se non capivamo le parole, che poi non facevamo mente locale al resto, che raccontava tutto il vangelo di Gesù in sintesi. Più facile da decifrare, perché la storia di Gesù la conoscono più o meno tutti.

Lo scopo di quell’inizio misterioso e solenne era quello di farci assaporare lo svelamento dell’enigma di questa storia: pensate – dice in sostanza il testo – vengo a raccontarvi quello che è successo a “uno” che, sin dal principio, è intimo a Dio, anzi è una cosa sola con Dio, anzi… è il Figlio di Dio! Bene, prosegue il “prologo”, sapete che è successo? Ce lo siamo trovati davanti, uomo come noi, si è accampato in mezzo a noi (“caro factum est”) per persuaderci a riconciliarci con Dio e per infonderci il seme della sua stessa intimità, lo Spirito della sua stessa vita. Da quel giorno (il Natale) non si può più parlare di Dio senza la “carne”, senza l’uomo, senza il bambino, senza il debole. Non solo.  Sono successe cose impressionanti: quelli che avrebbero potuto riconoscerlo non ci sono arrivati. Quelli che non ne avevano mai sentito parlare sono stati invitati all’intimità di Dio e molti lo hanno potuto seguire con le loro gambe, vederlo coi loro occhi ascoltarlo con le loro orecchie, da zoppi, ciechi e sordi che erano, mentre li incoraggiava ad avere fiducia che c’era un posto bello anche per loro nel regno di Dio, anche se i loro preti facevano un po’ i difficili. Bastava che girassero la grazia (un aiuto gratuito) ricevuta a qualcun altro che stava peggio di loro e Dio non se lo sarebbe dimenticato.

E questo, ribadisce Giovanni lungo tutto il quarto vangelo, non è una controfigura o un prestanome di Dio, che parla per parlare. Questo è il Figlio eterno! Questo è Dio che ama il suo prossimo – cioè noi, gli estranei, i peccatori, i cocciuti, i ribaldi – come se stesso! E muore – invece di fare sfracelli di lesa maestà – per tenere fede a questa ostinazione di Dio, che se li vuole riportare a casa: loro, prima ancora dei più intimi, dei più prossimi, dei più devoti. E così – come en passant – impariamo che la parola più profonda, più intima, più assoluta che definisce Dio è “generazione”, non “auto-realizzazione”. E chi genera vita (non chi sta seduto a pensare a sé ma che si impegna per cambiare il mondo per renderlo più giusto) e si svena per proteggerla, anche quella di coloro che non sono figli suoi, è mille volte benedetto da Dio, anche se non è uno stinco di santo. E si acchiappa un soffio di vita che non morirà mai.
Lo capisci, caro Direttore, perché noi credenti ci teniamo così tanto a leggere il vangelo non solo come la storia edificante di un eroe sfortunato, seppure sublime, della generosità e della fratellanza umana? Se lo leggiamo come l’incredibile capovolgimento del Dio-Faraone al quale ci siamo abituati, è tutta un’altra storia.

Il Dio del vangelo è un Dio capovolto, appunto. Non il più in alto, ma il più in basso; non noi alla sua ricerca (come fanno tutte le religioni), ma lui che scende per cercarci; non noi che prendiamo iniziativa per andare altrove, ma lui che ci parla per primo, e fin dal principio. E non è senza senso che l’evangelista abbia scelto la parola greca “logos” per descrivere questo capovolgimento di Dio in cerca dell’uomo. Logos deriva da leghein, che significa “parlare”, “discorrere”, “ragionare”, ma innanzitutto significa “legare”. Si potrebbe dire perciò “In principio è il Legame”, il “legame” di Dio con tutti gli uomini, con me, con te, con tutti. E il legame c’è nella realtà, aldilà se noi lo riconosciamo o meno. Non continuo su questo registro che ci porterebbe lontano. Ma una cosa è certa, aldilà della fede “catechistica”: chi si lega a Gesù – anche con una piccola fiducia, affidamento, e-mozione – si lega a Dio.

E il problema della fede si pone non sull’esistenza o meno di Dio ma sul legame o meno con lui e con gli uomini, con i poveri. Nella Lettera di Giacomo si scrive che anche i “demoni credono che c’è un solo Dio” (cfr. Gc 2,19) ma non sono certo dei credenti esemplari o comunque dei credenti. In realtà è il “legame” con Gesù l’inizio della fede cristiana. Anche se ancora non lo si comprende nella sua profondità. Il “legame” (il logos) di cui si parla si chiama “agape”, ossia amore gratuito che non esige contraccambio. E’ questa la sostanza della fede cristiana. Su questo si potrebbe parlare ancora! Per ora mi fermo a dire che, come in qualsiasi rapporto, il legame (il rapporto di amore) tra i due è sempre un movimento sul piano e-mozionale. E si sostanzia di conoscenza reciproca, di crescita comune, di confronto anche dialettico. Quanti credenti si sono “confrontati” con Dio.

Basti pensare a Giobbe! E comunque la verità dell’agape, del logos, del legame con Dio è l’amore per “i piccoli”, per i poveri. In questo amore infatti appare evidente la gratuità del dare, senza pretendere di ricevere. Ed è una dimensione che va oltre qualsiasi confine, anche religioso. Te lo dico con un esempio che mi è capitato in questi giorni. Rileggendo la vita don Milani mi sono imbattuto in questa frase rivolta ai suoi ragazzi scritta nel suo testamento: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non sia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto”. Certamente don Milani ricordava l’ammonimento della Lettera di Giacomo: “Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?”(Gc 2,20).

Ecco perché Giovanni apre il suo vangelo con il Prologo, con il “logos” che si fa carne, soprattutto nei più piccoli. Per questo l’evangelista ha incominciato il suo Vangelo con quelle affermazioni che non dimentichiamo. In principio era il “Perché” di Dio – il perché della sua tenerezza, il perché della sua passione, il perché della creazione e il perché del suo riscatto. Il Logos, appunto: la ragione di tutto, il legame di tutti, e il tratto personale che viene dal miracoloso evento della generazione (come sappiamo persino noi umani). Ogni volta che lo vedi fermarsi con la Samaritana o cambiare la vita di uno Zaccheo, ti deve venire un brivido: perché questi sono i fatti dell’unica rivelazione di Dio che noi conosciamo. L’unica che osi giurare questo è il Logos, questo è il Perché, questo è Dio. Un uomo semplicemente religioso, che vuole fare propaganda alla religione, non oserebbe inventarsi una cosa simile, se non ci avesse sbattuto contro. Non ci credevamo neppure noi, dice Giovanni: ma l’abbiamo toccata. Che possiamo dirvi di più?