Quando Xi Jinping dice Mosca dice gas. La guerra in Ucraina, per il regime cinese, può pure durare decenni: l’importante è che Putin non la perda. A Pechino non interessa che la guerra finisca, né che finisca presto. Non gli interessa nemmeno che Putin la vinca alla svelta. Pechino vuole semplicemente che non ci sia un cambiamento di regime a Mosca. Gli interessa soltanto che Putin non cada. Perché l’unica cosa che importa a Xi Jinping è poter tenere Vladimir Putin per il collo, così da estorcergli condizioni contrattuali nella compravendita di materie prime – di gas innanzitutto – favorevolissime per Pechino e penose, ma senza alternative possibili, per Mosca.

La sostanza del piano di pace cinese è tutta qui. E nel suo non essere un piano. Come considerare un vero piano di pace una proposta che non accenna al 20% del territorio ucraino occupato dai russi, ossia alla sostanza del problema? La proposta cinese è una sintesi, fatta per cenni, di quel che Pechino ha detto sulla guerra da quando, mesi fa, ha iniziato a pronunciarsi con perfida (non prudente, perfida) vaghezza a riguardo. Se il famoso regime change in Russia più volte auspicato da Washington ci fosse davvero, qualsiasi altro governo di insediasse a Mosca sarebbe con alta probabilità in una relazione di forza con Pechino meno debole di quella in cui è ora Putin con il suo “migliore amico Xi”. Che è rimasto muto quando Putin, a fine visita cinese, ha palato dell’accordo per mandare in Cina, dal 2030, 98 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno. L’accordo si fa in due e l’altro è stato zitto.

Era il gas il punto più importante delle questione economiche trattate nella tre giorni dei due presidenti. E l’accordo non c’è. Questo perlomeno si deduce da come, dopo aver celebrato la somma importanza dei patti commerciali sottoscritti, il Cremlino ha rubricato sotto l’espressione “questioni tecniche che saranno le aziende a negoziare” la sostanza di un accordo evidentemente ancora da fare. E che Putin, quando sarà fatto, non potrà far altro che firmare in bianco. Basta quel solo numero che Putin ha dato, quel 98 miliardi di metri cubi l’anno, a far capire quanto perde la Russia a dover trattare con la Cina dopo aver perso gli ottimi clienti europei. All’Europa vendeva 180 miliardi i metri cubi di gas all’anno, e si trattava di rifornire un mercato geograficamente vicino. Ora di gas ne vende la metà e lo deve portare (a sue spese) fino in Cina.

Dovrà utilizzare a pieno ritmo anche il gasdotto lunghissimo che parte dai giacimenti siberiani. Quando Mosca ha dovuto affrontare le sanzioni per l’annessione della Crimea, Russia e Cina hanno firmato un accordo per il gasdotto Power of Siberia e per la fornitura a Pechino di gas a basso costo. Il progetto è entrato in funzione nel 2019. Servirà ora un utilizzo totale anche del Power of Siberia 2 per dirottare le esportazioni dalle riserve non più inviate in Europa. Quando Putin faceva gli accordi con i paesi europei, li faceva con clienti un mercato vicino e tenendo lui il coltello dalla parte del manico quale nostro fornitore quasi unico. I clienti europei, pur di assicurarsi il gas russo, erano disposti ad accordarsi per enormi quantità e a firmare la clausola che li (ci) obbligava a pagarli anche se alla fine decidevamo di non comprarli. Xi Jinping, ormai unico grosso cliente di Mosca, si può permettere di imporre condizioni opposte. Pesantissime. Chiede che gli sia messo a disposizione tutto il gas russo che potrebbe servire alla Cina, ma non si vuol vedere costretto a pagarlo se poi decide di non comprarlo.

L’anno scorso le importazioni cinesi di energia russa, equivalenti al 40% delle entrate del bilancio del Cremlino, sono aumentate dai 52,8 a 81,3 miliardi di dollari di valore. Secondo il Center on global energy policy della Columbia University, la Russia è il secondo fornitore di greggio e carbone della Cina. A gennaio, la Russia ha superato il Qatar, il Turkmenistan e l’Australia diventando il principale fornitore di gas di Pechino, con una fornitura di 2,7 miliardi di metri cubi in un solo mese, secondo i dati delle dogane cinesi. Mosca è giorno dopo giorno sempre più dipendente dalla tecnologia cinese, oltretutto. L’anno scorso ha comprato dalla Cina macchinari e parti elettriche per il valore di quasi 5 miliardi di dollari. Il commercio bilaterale ha raggiunto il record di un valore di 190 miliardi di dollari nel 2022. Pechino, nell’imporre condizioni capestro a Putin, guadagna, oltre all’enorme risparmio, anche il profitto di vedere lo yuan, la moneta cinese, diventare la principale valutata commerciale della Russia.