I fatti degli ultimi giorni avevano sollevato l’allarme. Il fastidio occidentale per le mosse di Xi Jinping, e prima ancora l’ammonimento di Washington a Kiev (“non accettate nessuna proposta di cessate il fuoco”). Ieri l’escalation è proseguita. Gli inglesi hanno reagito in modo inconsulto ai colloqui di Mosca: hanno annunciato che forniranno a Kiev munizioni con l’uranio impoverito. Sono armi micidiali, realizzate per sfondare qualsiasi blindato. Sono state in passato usate dagli americani soprattutto in Serbia e in Kosovo.

Hanno una grande potenza ma anche un terribile effetto collaterale, e cioè inquinano con veleni all’uranio, mortali per chi li respira e anche per le generazioni successive. Annunciare che saranno consegnate all’Ucraina ha un chiaro valore di “rottura” di ogni possibile clima di negoziato. Infatti Mosca ha reagito immediatamente e il portavoce del ministero degli esteri ha annunciato che saranno prese delle contromisure.

Ha anche minacciosamente alluso alla probabilità sempre più vicina e concreta di guerra nucleare. Naturalmente quando si registrano le intemperanze politiche dei governi bisogna stare attenti a distinguere tra intenzioni reali e provocazioni.

Il problema è che, talvolta, le provocazioni innescano una serie di reazioni che poi diventa molto difficile disinnescare. È chiaro il motivo dell’escalation di Londra e Washington. Impedire che sia il presidente cinese Xi a prendere in mano la situazione. Tutti gli osservatori avvertono questo rischio. Il modo nel quale Gran Bretagna e Stati Uniti hanno evitato in questi mesi la strada diplomatica ha aperto un varco molto grande alla Cina.

E la stessa Ucraina, stremata, evidentemente ha la tentazione di inserirsi in questo varco. Washington e Londra temono che un successo della missione cinese possa rovesciare gli equilibri geopolitici a favore di Pechino. E vogliono impedire che questo avvenga. Anche rischiando la guerra mondiale? Anche. E l‘Europa che fa? In questo momento conta quanto la Repubblica di San Marino.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.