Il Parlamento è stato informato?
“Il viaggio degli 007 italiani per addestrare i tagliagole anti-migranti in Sudan”: così li aiutiamo a casa loro?

Cosa ci faceva un aereo dei servizi italiani il 3 agosto scorso a Khartoum? E le dodici persone che aveva a bordo, con quei bagagli voluminosi passati senza controlli aeroportuali attraverso il varco vip, cosa sono andate a fare nel Sudan in mano a militari golpisti che stanno reprimendo con violenza inaudita ogni manifestazione popolare di protesta contro il colpo di stato del 25 ottobre scorso?
Davvero, come scrive il sito africa-express.info in un articolo di Massimo Alberizzi, si è trattato di una visita ai “comandanti del Rapid support force (Rsf), il gruppo paramilitare sudanese formato in gran parte dagli ex janjaweed, i famigerati terroristi arabi soprannominati “diavoli a cavallo” famosi perché in Darfur attaccavano i villaggi africani (ammazzavano gli uomini, stupravano le donne e rapivano i bambini)”? Il Parlamento ne è stato informato? Quando? Da chi? E chi sapeva della missione in Sudan in visita ai tagliagole del Rapid support force? I passeggeri dell’aereo (tutti agenti italiani?) accolti dal tenente colonnello Abdel Rahim Taj El Din, uno dei capi del cerimoniale del Rsf, sarebbero stati ricevuti dal numero due dei golpisti, il tenente generale Mohamed Hamdan Daglo, conosciuto come “Hemetti”, vicepresidente del Consiglio Sovrano, ex capo dei janjaweed e ora comandante delle Forze di Supporto Rapido, che dei tagliagola locali è il capo.
Davvero lo scopo della visita era organizzare nel dettaglio l’addestramento? Davvero nostri agenti sono andati in Sudan, e non era nemmeno la prima missione sul posto, perché sono italiani gli addestratori del personale locale usato per contenere l’esodo africano verso l’Europa? Siamo davvero andati lì per addestrare i tagliagola ai quali appaltare il lavoro sporco per bloccare la migrazione africana verso l’Europa?
In Sudan, dopo la caduta nel 2019 del dittatore Omar al Bashir, era cominciata una timida transizione verso un governo democratico. È stata interrotta bruscamente il 25 ottobre scorso da un gruppo di militari che ha rovesciato il governo di transizione e represso nel sangue le proteste popolari. Il tentativo di traghettare il Paese verso elezioni si basava su un fragile ed esile accordo di compromesso tra gli insorti e i generali del vecchio regime.
Il capo del governo di transizione, Abdallah Hamdok, parlava di “alleanza paradossale” tra civili e militari, tra popolazione in rivolta e vecchi carnefici. Il filo s’è spezzato con il golpe, che è stato un golpe classico: primo ministro arrestato con l’accusa di non collaborare, manifestanti uccisi, solo musica trasmessa da radio e tv. Zero notizie. Retate casa per casa. La giunta militare era guidata dal generale Abdel Fattah al Burhan, ex capo dell’esercito la cui stella ha cominciato a brillare dopo la caduta di Al Bashir quando gli furono date funzioni equivalenti a quelle del capo dello stato. I militari in Sudan sono soli al comando. Helmetti dei militari è il numero due. E prima del golpe i suoi paramilitari hanno compiuto numerosi massacri, anche a Khartoum durante la rivoluzione del 2019. Ha personalmente ammesso davanti a funzionari dell’Unione Africana la sua responsabilità in assassinii e stupri nel Darfur meridionale. I suoi militari sono responsabili della strage di Khartoum del 3 giugno 2019: almeno cento persone uccise perché stavano chiedendo i piazza libertà e diritti.
“Helmetti” è stato in Italia a febbraio, è arrivato a bordo di un aereo privato degli Emirati arabi. Secondo africa-express.info durante questa visita “aveva assicurato che le Forze di Supporto Rapido avrebbero rispettato l’accordo stipulato con il Gruppo di lavoro europeo sulla Libia. Hemetti ha partecipato ad un incontro tra i rappresentanti di alcuni Paesi coinvolti nella ricerca di una soluzione alla crisi libica (Turchia, Italia e un rappresentante della Nato) e ha visitato tre capitali straniere. La visita è avvenuta con la copertura e l’accordo dell’Europa, ma Hemetti mirava anche ad ottenere finanziamenti per acquistare da una fabbrica italiana le attrezzature lattiero-casearie necessarie agli impianti in costruzione in Etiopia. È per questo che durante il suo viaggio è stato accompagnato da suo fratello minore Al-Qoni e dal siriano Muhammad Abdul Halim. Dopo il suo arrivo in Italia, ha presentato una lista di richieste comprendenti attrezzature per l’assistenza tecnica e il supporto strategico (cioè istruttori per corsi d’addestramento e armi).
Il nostro Paese e gli altri partner coinvolti nell’operazione dopo una valutazione accurata, hanno informato Hemetti dell’approvazione delle sue richieste che contemplano anche droni dei quali l’ex janjaweed ha sostenuto di avere bisogno per il controllo delle frontiere e per fermare il flusso migratorio verso l’Europa”. Di certo il 29 luglio scorso Helmetti ai microfoni di una radio sudanese ha fatto una gran sviolinata all’Italia e ha detto che le Forze di supporto rapido “stanno cooperando esclusivamente con l’Italia nei settori della lotta al terrorismo e dell’immigrazione”. Sei anni fa Yasser Arman, segretario del Sudan people’s liberation movement-north, gruppo ribelle della parte meridionale del Sudan disse: “Abbiamo accurate informazioni secondo cui esiste un piano dell’Unione Europea per finanziare le Rapid support sorces.
In particolare la Germania metterebbe a disposizione il denaro necessario, mentre all’Italia è stato affidato il supporto logistico”. L’accusa, sempre secondo africa-express.info, fu confermata da fonti diplomatiche delle Nazioni Unite a Khartoum. Yasser Arman sosteneva che il piano affidasse “ufficialmente ai janjaweed di proteggere i confini del Sudan con il pretesto che occorre combattere l’immigrazione illegale verso l’Europa, oltre al traffico di essere umani e al terrorismo. Gli interessi di queste forze accusate di genocidio, si saldano così a quelle dell’Europa. Loro sono i terroristi che in questo modo godono di un riconoscimento internazionale ufficiale.
Se il “Protocollo di Khartoum” non verrà immediatamente bloccato vorrà dire che queste bande di assassini potranno vedere riconosciuto il loro preteso diritto di ammazzare con la copertura dell’Europa e quindi anche dell’Italia”. Sarebbe il caso di chiarire se davvero nostri agenti sono andati a Khartoum a incontrare i militari golpisti locali. Se sì: a fare cosa? Addestrano i loro gruppi armati? I capi dei servizi segreti possono dar conto di quale è il ruolo degli agenti italiani in Sudan? Il governo può mandare qualcuno a riferire al Parlamento?
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