La competenza delle competenze? Quella interrogativa, imparare a domandare. “La grande posta in gioco nell’insegnare la filosofia oggi è proprio questa. Si ritiene spesso che la competenza fondamentale sia quella del problem solving; il più delle volte, però, non riusciamo a risolvere i problemi perché non siamo capaci di vederli, abbiamo affievolito questa competenza della nostra persona. Vale per tutte le domande, fino a quella capitale, da cui tutte dipendono: cosa ci stiamo a fare al mondo? Una domanda che è diventata quasi scabrosa…”.

È andato dritto al punto il filosofo Costantino Esposito, Ordinario di Storia della filosofia e Storia della metafisica all’Università di Bari, che ha così sintetizzato al Riformista uno dei suoi interventi al XXV Congresso Mondiale di Filosofia – “La filosofia attraversa i confini”, conclusosi ieri nella Città Universitaria La Sapienza di Roma. Il Congresso ha aperto un’interessante finestra sulla scuola a partire dalla domanda: a cosa serve insegnare la filosofia? Il panel sul tema ha messo al centro una concreta esperienza di apprendimento, le “Romanae Disputationes”, la rassegna-concorso che ha introdotto e diffuso l’idea di uno studio della filosofia come percorso di ricerca su grandi domande. Funziona così: si pone un grande tema annuale e i ragazzi ricercano su quel tema durante l’anno scolastico avendo accanto a sé tre grandi supporti: innanzitutto i loro docenti scolastici che li guidano, poi i docenti universitari ed esperti che tengono lectiones sul tema (ci sono stanti, negli anni, Luciano Floridi, Massimo Recalcati, Alessandro D’Avenia e molti altri) infine i grandi filosofi del passato con cui possono confrontarsi non più in modo nozionistico ma a partire dalla concretezza di una domanda comune.

Al termine del percorso formativo si sfidano in un concorso che richiede la redazione di paper, monologhi filosofici e dispute a squadre sui temi trattati. “Le Romanae Disputationes – spiega l’ideatore e direttore della rassegna, Marco Ferrari hanno riscosso successo perché non dividono quello che non va diviso, conoscenze e competenze”. Il senso dell’affermazione si comprende subito osservando le domande di ricerca che sono state sviluppate in questi anni e il loro legame con quelle che possono definirsi le urgenze del tempo. Per esempio, subito dopo la pandemia, quando la fisicità era parsa a molti sostituibile, si è ripartiti dalla domanda opposta: che cos’è il corpo? Di grande interesse anche la domanda già scelta per l’edizione 2025, che mette al centro una parola spesso bistrattata e impropriamente associata a un certo conservatorismo dogmatico: “Cosa sono i valori? Genesi ed esperienza di ciò che vale”. Il metodo è un’alternativa sostanziale a quello che Ferrari chiama “ingozzamento cognitivo”, quel sapere trasmissivo e frammentato che è la vera morte della scuola. Perché insegnare filosofia, dunque? “La filosofia ha tutti quegli strumenti (l’argomentazione, la definizione e precisazione dei termini, le inferenze, lo svelamento delle fallacie) che permettono di esprimere e vivere pienamente il rapporto con gli altri. Possiamo dire che è un ottimo toolkit per la democrazia”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Mario De Caro, Ordinario di Filosofia morale all’Università di Roma Tre e vicepresidente del comitato scientifico delle Romanae Disputationes, di cui Esposito è presidente. De Caro ha richiamato il titolo del congresso. “Il senso dell’insegnare di insegnare filosofia è proprio quello di attraversare i confini. Sia chiaro, i confini sono inevitabili, ma non per questo sono impermeabili, inattraversabili. La filosofia può aiutare a questo livello in tre step. Il primo acquisisce una particolare importanza oggi, di fronte alla rinata logica delle armi: la filosofia può insegnare altre forme di confronto intellettuale, a non considerare l’altro come nemico, ma come qualcuno che ha una forma di vita diversa dalla nostra. In secondo luogo, a partire dalla propria pluralità (i filosofi hanno dato risposte diverse a domande comuni) ci dà l’idea che la realtà stessa è ampiamente frastagliata e che solo in questa polimorfia di voci si può sperare di coglierne la complessità. In ultimo, la filosofia può svolgere un compito che le è sempre appartenuto ma ora è diventato essenziale: ricomporre all’unità le visioni frammentate che abbiamo di tutte le cose, dalle scienze alle arti, fino alla politica”. Ma come non far decadere la ricerca, come convivere con domande che sembrano non esaurirsi in una risposta? “Abitando insieme ad altri queste domande, costruendo e difendendo con le unghie questi spazi in cui questo accade”. Risponde così Marco Ferrari. Si chiama scuola.