L'editoriale
In Italia servirebbe una rivoluzione liberale, ma chi la fa?

Ci sono movimenti interessanti nell’area liberale. La giornata di fondazione del Partito Liberaldemocratico e altri fermenti che si agitano nell’ambito di questo filone politico contribuiscono a segnare in qualche modo l’attenzione al risveglio del pensiero liberaldemocratico.
Peccato però che non sia facile, sulla base di quanto si è letto nelle cronache, individuare realmente una continuità di pensiero, un serio aggancio con la storia e l’evoluzione del pensiero liberale e liberaldemocratico in quanto si sta muovendo in questa fase.
Certo, finalmente si è parlato ad esempio di liberalizzazioni, ma il tutto immerso in quella fossa dannata del “presentismo” che colpisce un po’ tutta la politica italiana. Ma che ben più grave è quando coinvolge quello che è stato il filone di pensiero più moderno e rilevante nell’evoluzione della democrazia italiana. Già a partire dall’ultima fase del Risorgimento. Ovviamente anche i nuovi “risvegliatori” dei concetti liberaldemocratici risentono di quel tremendo divorzio tra cultura e politica, tra memoria storica e politica avvenuto in Italia da molti anni. Un divorzio caduto nella fase del predominio dei 5 stelle nel mero dilettantismo.
Al convegno dei libdem non si coglievano certo, ad esempio, le rilevanti polemiche economiche condotte da Ernesto Rossi, contro lo statalismo, i monopoli, e gli appelli per le liberalizzazioni. Così come non si coglievano quelle politiche istituzionali pensate da altre personalità che hanno animato la saga del Mondo di Pannunzio tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure ci sarebbe in questa fase l’occasione per agganciarsi alle migliori figure del pensiero liberaldemocratico per trovare boe e appigli ideali con aspetti di grande attualità. È in corso, ad esempio, il centenario dalla nascita di Giovanni Spadolini che più di chiunque altro ha scritto, elaborato e pensato sui protagonisti del pensiero liberaldemocratico. Non solo.
È in atto poi la preparazione di altri due centenari, dalla scomparsa in questo caso a seguito di due violenti assassini fascisti, di due grandi “fari” del pensiero liberaldemocratico come Piero Gobetti e Giovanni Amendola che cadranno nel 2026. Gobetti, ad esempio, pur nell’ambito di un pensiero fluido e sottoposto a varie contaminazioni, ma essenzialmente liberaldemocratico, fu il primo a proporre una “rivoluzione liberale”. Giovanni Amendola, invece, nel 1925 fondò l’Unione democratica nazionale, l’unica formazione liberaldemocratica che tentò di opporsi al fascismo appena nato. Dal pensiero di Giovanni Amendola, infatti, si possono trovare aspetti di indubbia attualità, come una certa concretezza maturata nell’esperienza di intellettuale e giornalista e una forte contezza dei problemi reali alla ricerca di terapie e soluzioni.
La rivoluzione liberale la propose poi anche Silvio Berlusconi, pur certamente senza raggiungerla.
Ma non si può omettere il fatto che Silvio Berlusconi sia stato il primo a rendere maggioritario il pensiero liberale. Viviamo però in una sorta di “eterno ritorno” del presentismo ancora più alimentato dal gioco dei social, ma senza solidi agganci e riferimenti con la storia. Non c’è la capacità né di operare bene nel presente né di progettare il futuro. Ciò che è ancora più grave perché l’innaffiamento continuo di un vero pensiero liberaldemocratico dovrebbe essere il fermento necessario in una vera democrazia. Tanto più quando questa democrazia soffre di due malattie di fondo: troppo statalismo e presenza di un pesante settore pubblico; e assenza di vere e serie liberalizzazioni.
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