Ieri alla Camera dei Deputati abbiamo presentata la proposta di legge n. 2939 a prima firma Riccardo Magi per affrontare radicalmente la questione delicata della imputabilità per i “folli rei”, finora risolta con perizie psichiatriche per stabilire l’incapacità di intendere e volere e comminare misure di sicurezza in ragione di una pretesa pericolosità sociale. Hanno partecipato Stefano Cecconi, Nerina Dirindin, Pietro Pellegrini, Mimmo Passione.

Il testo è stato discusso in maniera approfondita nel corso di seminari e incontri tra giuristi, psichiatri, operatori dei servizi di salute mentale, avvocati e militanti delle associazioni impegnati per la riforma. Cioè è frutto di una elaborazione collettiva coordinata dalla associazione La Società della Ragione, dall’Osservatorio sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, dal Coordinamento delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) e dei Dipartimenti di salute mentale (DSM) e da Magistratura democratica. Questo movimento ha partecipato alla lunga battaglia per completare il processo di liberazione per il superamento delle istituzioni manicomiali conclusosi con l’approvazione delle legge 180, nel 1978. Non era stato affrontato il nodo dell’esistenza dei manicomi giudiziari, i famigerati OPG, espressione massima dell’istituzione totale, carcere e manicomio insieme.
Si è dovuto attendere il miracolo della legge 81 del 2014 per realizzare una vera rivoluzione che si è concretizzata completamente nel 2017 con l’uscita dell’ultimo internato.

La legge 81 prevedeva che il ricorso alle misure di sicurezza detentive dovesse essere una misura estrema; così non è sempre accaduto ma l’esperienza delle Rems ha mostrato la possibilità di buone pratiche terapeutiche grazie ad alcuni pilastri fondamentali (territorialità, numero chiuso, limite temporale della durata della misura di sicurezza evitando il cosiddetto ergastolo bianco, rifiuto della contenzione meccanica) e al cambiamento da struttura carceraria a struttura sanitaria. Purtroppo le difficoltà inevitabili di applicazione di una riforma che ha rotto molti stereotipi lombrosiani e il mancato investimento di risorse a favore dei Dipartimenti di salute mentale e di strutture nel territorio, sono state strumentalizzate con il rischio di tornare indietro. La nostalgia del manicomio si è manifestata anche con una questio alla Corte Costituzionale che sarà esaminato il 26 maggio e che prevede il ritorno alla presenza della polizia penitenziaria nelle Rems abolendo anche il numero chiuso, provocando sovraffollamento come in carcere.

Anche per respingere le pulsioni neo-manicomiali abbiamo deciso di porre sul tappeto la cancellazione del cosiddetto doppio binario del Codice Rocco che riserva agli autori di reato – se dichiarati incapaci di intendere e di volere per infermità mentale al momento del fatto – un percorso giudiziario speciale. Siamo convinti e lo affermiamo con chiarezza che la responsabilità è terapeutica. Scegliamo la via del giudizio per le persone affette da grave disabilità psicosociale, non per arrivare a una pena dura o esemplare, ma per riconoscere la loro dignità di soggetti e con la possibilità di comprensione le loro azioni, eliminando lo stigma che il verdetto di incapacitazione e l’internamento recano con sé.

La proposta affonda le sue radici in un disegno di legge che presentai nel 1991 al Senato ed è stata elaborata da Giulia Melani, Katoa Poneti e Grazia Zuffa e si è avvalsa delle riflessioni del Comitato Nazionale di Bioetica, del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale; in particolare è prevista una possibilità di accesso a misure alternative alla detenzione per i soggetti affetti da patologie psichiatriche. Questa soluzione favorirà anche l’intervento di sostegno psicologico nelle carceri che nell’anno della pandemia hanno visto peggiorare le condizioni di vita e annullate le possibilità di relazioni umane in vista della risocializzazione.

Troppi sono i proscioglimenti conseguenti a perizie che sanciscono l’incapacità di intendere e volere. Alcuni casi hanno suscitato scandalo e clamore in Italia e in Francia e la spinta per rivedere la legge riduzionista e biologista si fa largo.
Se si vuole parlare sul serio di riforma della giustizia non si possono eludere i principi di civiltà. E dopo novanta anni di vigenza del Codice Rocco, fondamento del regime fascista e dello stato etico, sarebbe davvero ora di cancellarlo e approvare un Codice della Repubblica. Chissà se la ministra Cartabia avrà questa ambizione.