Il femminicidio ha il volto di Saman Abbas, la 18enne scomparsa dalla Bassa Reggiana e che si presume essere stata ammazzata dalla famiglia per essersi opposta ad un matrimonio combinato. Di questa straziante vicenda Il Riformista ne parla con una donna che da 45 anni ha difeso in mille battaglie i diritti delle donne: Emma Bonino, senatrice, leader storica dei Radicali, già Commissaria europea e ministra degli Esteri. Un impegno dalla parte delle donne in cui Bonino ha saputo sempre congiungere idealità e concretezza.

Con uno sguardo attento alle giovani generazioni: «E alle ragazze di oggi – afferma Bonino – mi sento di dire che occorre impegnarsi per tentare di eliminare i fattori che le discriminano. Non basta un like o un tweet per spingere verso una reale parità e che i diritti sono come andare in bicicletta, per cui se smetti di pedalare cadi. I diritti vanno nutriti, difesi e promossi ogni giorno. Quello che mi auguro è che i ragazzi di oggi trovino la passione civica per lottare per i propri diritti e siano consapevoli dei relativi doveri in riferimento alle scelte che si fanno, l’impegno da solo non basta. Se ci si impegna a fare una cosa, è assolutamente indispensabile che l’impegno sia accompagnato dalla conoscenza, dalla cultura. Perché se cambiare si può, tentare si deve». Un anno fa, di questi tempi, la senatrice ha presentato la campagna ha presentato la campagna #Facciamocisentire, lanciata sui social una “lotta” che permetta di mantenere vivi i diritti femminili, che rischiano di essere cancellati dall’emergenza Coronavirus.

Cosa racconta la tragica vicenda di Saman Abbas?
Racconta di quello che noi chiamiamo femminicidio. Una malapratica, così le mutilazioni genitali femminili ed altro, che hanno sottintesa una sola cosa: tu non sei tua, tu appartieni alla tribù, alla famiglia, al futuro marito, al padre…Tu sei un oggetto a nostra disposizione. Questo sottintende la storia di Saman. Ed è un sottinteso, basta leggere le cronache, di tutti i femminicidi: tu non mi puoi lasciare, tu sei mia. Nel caso di Saman, fatto in modo molto più crudele e molto più violento. E questo vale per i pachistani come per tutti gli altri, italiani compresi.

La gelosia come sentimento scatenante. L’esercizio del controllo su, rispettivamente, la figlia, la nipote e la cugina come strumento per far valere questo “diritto di possesso”, la volontà di anteporre la salvaguardia dell’onore al diritto di autodeterminazione di una persona. Così il gip Luca Ramponi nelle motivazioni per le quali ha disposto il carcere per tutti e cinque gli indagati per l’omicidio di Saman. La sua intera famiglia, in pratica: madre e padre, lo zio e due cugini.
È proprio la questione di potere. Io posso disporre di te, quindi tu non mi lasci, tu non te ne vai, io ti picchio quando voglio magari fino ad ammazzarti. Ciò avviene ovunque nel mondo, anche da noi, Poi magari le donne subiscono per trent’anni, per i figli o per altro, finché o vengono ammazzate o non ne possono più e finalmente denunciano. Io mi sono occupata soprattutto di matrimoni giovanili forzati, le bambine che vengono vendute a 8 anni, o a 12, che vengono praticamente stuprate dai loro adulti mariti. Si calcola più o meno 50 milioni nel mondo e 70mila morte ogni anno per emorragie interne o per altri stupri di vario tipo. In un Paese, non mi ricordo più quale, vige un detto che sentenzia: il ruolo per una donna è o sposa o nella tomba. Matrimoni combinati sono stati e sono ancora in molti Paesi una tradizione. E lo sono stati, anche se in una tradizione un po’ più light, anche per noi, qualche generazione fa. Non voglio tornare sul delitto d’onore però siamo sempre lì. C’è l’onore e quella strana cosa che pare riposi solo sulle spalle delle donne…

Vale a dire?
Vale a dire che a far perdere l’onore sono sempre e solo le donne. Non è chi le ha stuprate, no, non sia mai. La colpa di macchiare l’onore appartiene solo alle donne. Gli uomini che le stuprano, le picchiano, in molti casi fino alla morte, questo “onore” non lo macchiano. Il delitto d’onore in Italia viene cancellato solo nell’82. Ho letto un bel reportage sul Corriere della Sera che analizza alcune di queste denunce. Poi, però, ci sono quelle che subiscono per tanti anni per i figli o per altri motivi. Poi ci sono le “crocerossine” quelle per cui sì è un po’ violento ma io lo salverò. Non succede mai. Uno dei più efficaci slogan contro il femminicidio, è stato sempre: “Il tuo fidanzato ti picchia? Non c’è nessuna cura, se non cambi fidanzato”. Quello di Saman è un caso particolarmente efferato, che ti dice anche che spesso sono le madri che sono conniventi, sempre perché se no altrimenti le figlie non si sposano… Nel caso specifico, ti dice anche del conflitto generazionale: la generazione dei padri e dei nonni e le nuove generazioni che vivono da noi e che vogliono vivere secondo i criteri del nostro Paese. Ma è bene che il nostro Paese non alzi tante bandiere di purezza. Quante volte ci siamo sentiti ripetere lo stesso ritornello, dall’Italia alla Groenlandia: come mai la strage delle donne continua a crescere? La verità è che la violenza maschile, peccato antico e infrangibile, si combatte solo con un cambiamento culturale. Smettiamola di esentare l’uomo da ogni responsabilità. Torno a ripetere quanto ho già detto più volte: è ora che intellettuali, politici, giornalisti, insomma uomini autorevoli e popolari, parlino chiaro ai loro colleghi di sesso e dicano: basta! Il femminicidio è il crimine dei deboli, dei rifiutati, degli irresponsabili. Un vero uomo non uccide.

In certi commenti riguardanti la tragedia di Saman Abbas traspare una sorta di razzismo culturale. La metto giù brutalmente: ma cosa ti vuoi aspettare da un islamico.
A costoro si dovrebbe dire: mi aspetterei quello che mi aspetto da ogni bianco educato, che non ammazzi la fidanzata. Su queste violenze inaccettabili non c’è scusante che tenga. “Sono le loro tradizioni” ma perché non erano anche le nostre? Detto questo, non è perché una cosa è una tradizione questo la rende di per sé buona. Anche le mutilazioni genitali femminili sono sempre state una “tradizione”, finché siamo riusciti per lo meno a far dichiarare che quelle mutilazioni rappresentano un crimine alla persona. Saman aveva già rifiutato due anni fa una “proposta” di matrimonio. Non è che puoi mettere un carabiniere accanto a tutte. Ma di cose che si possono fare ce ne sono…

Quali, ad esempio?
Occorre potenziare gli strumenti che abbiamo. Da vent’anni le Nazioni Unite chiedono ad ogni Stato membro di dar vita ad una Commissione nazionale indipendente sui diritti umani. In Italia è vent’anni che non riusciamo a realizzarla. Una proposta che giace alla Camera e che potrebbe essere un utile strumento per tutte le Saman che debbono chiedere aiuto. Invece non si riesce a fare. Spingi, spingi, spingi ma niente, questo strumento non ce l’abbiamo ancora. Non è che sia risolutivo, soluzioni miracolistiche non ce ne sono. Ma sarebbe un ottimo punto di partenza. Essere dalla parte delle Saman di ogni colore, fede, razza, cittadinanza, significa anche togliere da cassetti impolverati una proposta quale quella della Commissione nazionale indipendente per i diritti umani. Se non ora, quando? L’azione parlamentare deve essere accompagnata da una continua, incessante campagna d’informazione, per abituare le persone, cosa che non è semplice, a convivere pur nella differenza di pelle.

In una nostra precedente conversazione, parlando del Pnrr messo a punto dal governo Draghi e che sarà oggetto di discussione in Parlamento, lei aveva fatto riferimento ad una pecca, proprio relativa al tema della parità di genere. Non crede che anche alla luce di vicende tragiche come quella di Saman, occorrerebbe che il Pnrr fosse maggiormente declinato al femminile?
Come avevo detto anche al Senato, dopo tanto parlare di avanzamento delle donne e cose del genere, io mi sarei aspettata qualcosa di più. Non perché nel Pnrr non ci sia niente, tutt’altro, ma mi sarei aspettata qualcosa di più e speravo che qualcosa di più potesse anche arrivare dal Piano aggiuntivo di 30 miliardi. Mi pare che questo auspicio non si sia avverato. Penso a tutta una serie di situazioni che possono aiutare queste persone a sentirsi più sicure anche se vanno a denunciare: penso allo Ius soli, allo Ius culturae, solo per fare degli esempi, in un cammino che non ha niente di miracolistico, bisogna solo essere determinati, resistenti e cocciuti per andare avanti.

 

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.