Non si sottrae alle questioni più “velenose”. Come quegli applausi a Marco Travaglio alla Festa di Articolo 1 di Bologna: «La sinistra pecca di tanti ‘ismi’, ma tra essi non annovero il ‘travaglismo’. I dibattiti sono tali quando si confrontano posizioni diverse, a volte molto distanti. Quanto agli applausi, a un evento pubblico non è che si chiede la tessera per partecipare. Quanto alle sue affermazioni su Draghi, come ha già ben chiarito Roberto Speranza, non ci appartengono minimamente». Alfredo D’Attorre, già parlamentare e membro della segreteria nazionale di Articolo 1, è considerato una delle “menti” del partito di Roberto Speranza, e non solo per i suoi trascorsi universitari, ma per la sua inclinazione, bene raro tra i politici del tempo, a voler andare a fondo delle questioni, evitando, ecco un altro “ismo” che non gli appartiene, il battutismo.

«ll Pd e i suoi cespugli, inghiottiti dalla (anti) politica-rancore di Conte, sono destinati alla celere marginalizzazione. Non hanno la forza e il pensiero per riprogettare le funzioni dei soggetti della politica dopo la discontinuità qualitativa che Draghi ha immesso nella vicenda politica, sociale e istituzionale. Questo è un vuoto che per la prima volta si presenta in forme così eclatanti». Così Michele Prospero su questo giornale. È un’accusa impietosa?
Ho stima di Prospero e non interpreto le sue affermazioni come una sentenza liquidatoria, bensì come una sfida, politica e intellettuale, a cui la sinistra non può e non deve sottrarsi. Lasciamo perdere le metafore “forestali”, ulivi, cespugli… La sostanza a me pare essere questa: solo se si ha una identità forte, una visione nitida che vada oltre il contingente o una piega “governista”, è possibile affrontare il tema, ineludibile, delle alleanze, in una posizione né di subalternità né, come paventa Prospero, di annullamento di sé. Per essere ancora più chiari: i 5Stelle sono stati capaci di raccogliere un voto dei ceti popolari che hanno abbandonato il centrosinistra, ma non penso affatto che sia stata una buona idea inseguirli sull’antipolitica o su una visione della democrazia senza corpi intermedi. Allearsi è una necessità di fatto, ineludibile se si vuole offrire un’alternativa alla destra. Una necessità che non esclude un rapporto competitivo e sfidante. Lascerei perdere l’espressione “alleanza strategica”. Il che significa, ad esempio, per il Pd e la sinistra, non rassegnarsi a delegare ai 5Stelle la rappresentanza dei ceti popolari, della piccola impresa o di settori con cui noi non riusciamo più a dialogare, chiudendoci nella rappresentanza del 20-25% della nostra attuale constituency, fatta prevalentemente di lavoratori dipendenti, pensionati e ceti riflessivi “medio-alti” concentrati nelle aree urbane.

A proposito di governo. Nel Partito democratico e negli universi paralleli della sinistra politica e intellettuale, le opinioni sul governo Draghi spesso divergono. Sulla natura del governo, sull’operazione che ha portato alla sua nascita – c’è chi ritiene sia il frutto di una sorta di colpo di mano istituzionale ordito dai “salotti buoni” della borghesia – sulla figura stessa del premier. La butto giù un po’ brutalmente. Draghi: opportunità o ostacolo per la sinistra?
Al punto in cui siamo, il governo Draghi è un’opportunità da cogliere appieno, oltre che una risorsa potenzialmente preziosa per il Paese. E badi, dire questo non significa affatto rinnegare un giudizio positivo sul governo Conte II. Tutt’altro. Il punto da cui partire è quale sia la missione fondamentale da assegnare al governo Draghi dopo il superamento della fase più acuta della pandemia e l’approvazione formale del Pnrr italiano. Per rispondere a questa domanda occorre che anche chi, come me e altri, ha difeso con convinzione l’operato del governo Conte II in una delle fasi più drammatiche della nostra storia repubblicana, considerando irresponsabile l’apertura di una crisi di governo in piena pandemia, sappia ora riconoscere l’opportunità che la scelta del Presidente Mattarella di investire della guida del governo la personalità italiana più autorevole e riconosciuta sul piano internazionale rappresenta adesso per il Paese rispetto alla congiuntura europea e geopolitica che esso è chiamato ad affrontare. Il valore aggiunto della leadership di Draghi va individuato nella funzione che essa può svolgere rispetto alle vere due partite decisive che attendono l’Italia: la ridiscussione delle regole economiche dell’eurozona dopo le elezioni tedesche e la ridefinizione del nostro interesse nazionale nel rinnovato campo euro-atlantico che l’amministrazione Biden sta provando a ricostruire. Sono queste le due questioni cruciali da cui dipende il futuro dell’Italia, anche se al momento la discussione tra i partiti sembra vertere su tutt’altro. D’altro canto, va detto con franchezza, anche a sinistra, che non avrebbe avuto molto senso chiamare a Palazzo Chigi una figura come quella di Mario Draghi solo per completare la campagna vaccinale o per condurre a termine l’approvazione del Pnrr. Per fare questo, sarebbero bastati governi “ordinari”.

La discussione a sinistra. È un fiorire di “Agorà”, un richiamo continuo al tema dell’identità. Lei come la vede?
Noi abbiamo bisogno di un soggetto politico che sappia coniugare idealità e concretezza, che colga appieno la drammatica centralità della “questione sociale” ai tempi della pandemia, che non assista passivamente al rischio di un ulteriore processo di massiccia de-industrializzazione del Paese e che sappia andare oltre a quello che io chiamo il “progressismo neo-liberale”. Un soggetto politico che torni a interpretare in maniera credibile una vocazione maggioritaria. Ciò non vuol dire isolamento o autosufficienza, ma una nuova ambizione espansiva. Un nuovo soggetto capace di elaborare un programma fondamentale che si lasci definitivamente alle spalle la sinistra neoliberale della “terza via” e si sintonizzi con la radicale discontinuità della nuova agenda Biden: piano per il lavoro, nuova presenza pubblica nell’economia, spinta all’aumento dei salari, forte rilancio degli investimenti e del welfare pubblico, politica fiscale e monetaria espansiva, priorità dell’obiettivo della piena occupazione rispetto a quello del contenimento dell’inflazione, transizione ecologica socialmente sostenibile. Una forza politica con queste caratteristiche è in grado di sostenere e orientare l’azione di governo, senza limitarsi a interrogarsi quotidianamente sul tasso di keynesismo o liberismo del “nuovo Draghi” politico. Noi di Articolo 1 partecipiamo alle “Agorà” con l’idea di provare a farle diventare una cosa seria, qualcosa che cambi a fondo l’impianto programmatico del Pd e consenta di costruire un soggetto più largo. Aggiungo che un soggetto che avesse più chiaro il senso della propria identità, che riuscisse a parlare con più credibilità di lavoro, di produzione, di politiche industriali, riuscirebbe a impostare meglio anche il rapporto con Draghi. Nel senso che riuscirebbe ad incidere di più in questa nuova fase. Il tradizionale posizionamento del Pd oggi è largamente insufficiente. Con Draghi in campo, non è che basti un generico richiamo all’europeismo, perché per quello Draghi basta e avanza, non è che serve il centrosinistra. Serve, invece, un’area che non si accontenti di piantare bandiere su temi sostanzialmente fuori dall’agenda di governo, ma che riesca ad incidere sui nodi fondamentali della politica economica. Avendo chiarito, torno a insistere su questo punto, le ragioni strategiche, d’interesse nazionale, per le quali noi stiamo convintamente dentro questa esperienza. Se hai il senso della tua identità, della tua missione puoi anche compiere operazioni politiche più difficili, complicate, come il sostegno a un governo di larghe intese. C’è poi un altro punto che credo dirimente…

Vale a dire?
Il centrosinistra dovrebbe prendere un’iniziativa decisa, magari subito dopo le elezioni amministrative, e proporre alle altre forze di maggioranza una riforma elettorale in chiave proporzionale. Io penso che noi dobbiamo inevitabilmente mantenere questa alleanza con i 5Stelle, che è una necessità, lasciandoci però definitivamente alle spalle l’antipolitica e l’illusione di poter fare a fare a meno di partiti strutturati. C’è anzitutto la necessità, ineludibile, di ricostruire i partiti attorno a culture politiche più omogenee, cosa possibile solo con un sistema elettorale più razionale. Un sistema alla tedesca, cioè proporzionale con sbarramento significativo, il 4-5%, che lasci aperta anche per il futuro, se il Paese dovesse avere questa necessità, la possibilità di una maggioranza parlamentare che, con gli equilibri decisi dagli elettori, eventualmente chieda a Draghi, se il negoziato europeo lo rendesse necessario, di proseguire il suo lavoro. E quel negoziato si affronta da Palazzo Chigi, non dal Quirinale. Ripeto: se tu hai chiaro quello che vuoi fare e chi vuoi rappresentare, se riesci a trasmettere con chiarezza qual è il tuo posizionamento sui temi fondamentali, sei più libero anche nella manovra politica. Le tre mosse necessarie le riassumerei così: 1) chiarire le ragioni strategiche di interesse nazionale del sostegno a Draghi, guardando avanti e superando una fase di nostalgia del passato. 2) promuovere una riforma elettorale in chiave proporzionale, perché l’attuale bipolarismo è del tutto astorico e fuori dalle esigenze del Paese. 3) fare delle “Agorà” l’avvio di un processo in cui nasce il nuovo soggetto centrale del centrosinistra, con una identità più forte, che possa diventare credibilmente la forza del lavoro e della questione sociale.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.