Più che i liquami di Travaglio, che piovono senza fermarsi mai e tornano sempre in faccia al mittente, conta il luogo in cui le parole contro Draghi che “non capisce un cazzo perché è figlio di papà (Draghi è rimasto orfano da ragazzino, ndr)” sono state pronunciate. Che “Articolo uno” trasformi la sua festa bolognese in una passerella di Travaglio, Scanzi è un piccolo evento che dimostra come un’area politica un tempo rilevante sia ormai perduta alla prospettiva di una sinistra autonoma. Quel materiale grigiastro che il Fatto riversa contro Mattarella, Cartabia, Draghi è da tutti annusato come maleodorante e però che il movimento di D’Alema e Bersani decida di affidare il posto d’onore proprio al foglio della rivolta anti-sistema è un accadimento politico.
Questa volta la massiccia campagna dei giornali più vicini ai (contro)poteri politico-giudiziari dovrebbe sortire come effetto non già l’alterazione degli equilibri politico-elettorali (come è accaduto in passato quando proprio Bersani fu indotto anche dalle “inchieste” del Fatto alla non-vittoria) ma l’aggregazione subalterna del Pd e dei vari cespugli nello schieramento a traino di Conte. La tenaglia che stringe il Pd è troppo forte perché sia spezzata da un partito così fragile nella cultura politica. E poi proprio quei settori prima interni al Pd e ora a lato di esso, che in nome dell’autonomia della politica si mostravano in passato refrattari a forme di giustizialismo antipolitico, ora si ritrovano in prima fila nel guidare la confluenza strategica della fu sinistra sotto la leadership di Conte.
Del resto i toni del dibattito politico sono accesi sino all’inverosimile. Uno studioso del mondo classico come Luciano Canfora non ha remore critico-filologiche ad accostare Draghi al dispotismo di Stalin e alla sua “concentrazione di potere assoluto, monarchico”.
A suo dire, questo insopportabile autocrate contemporaneo oggi arbitrariamente al governo in Italia, “potrebbe pensare di sistemare la Cartabia al Quirinale e tenersi palazzo Chigi. O fare l’inverso”. Il potere si configura come una cosa, un pacco postale da piazzare, un oggetto da spostare, un bene da dare in affidamento. Uno scolaro di Rodotà, il giurista Ugo Mattei, si sente a casa propria sotto le bandiere di Forza Nuova perché bisogna insorgere contro “le verità di sistema” e quindi contro il governo Draghi che è “la quintessenza di una visione autoritaria e ricattatoria del potere tecnocratico”. Questo accade nella élite intellettuale della sinistra. E nel popolo?
Sembra che le invettive di Travaglio contro “Draghi figlio di papà” siano state accolte, tra qualche timido mugugno, con una ovazione delle persone presenti. Aristotele scriveva che l’essenza della retorica si racchiude sempre nella questione del destinatario. E il pubblico che reagisce con gesti di grande approvazione alle metafore di Travaglio rivela come sia degradato lo stato della cultura politica di massa. Se si aggiungono anche le incredibili proteste di Landini sull’obbligo di vaccino, e quindi contro la tutela pubblica della salute operaia in fabbrica, si ha la percezione di uno sviamento preoccupante della sinistra politica e sociale.
Se attorno alla tregua tecnica, che ridisegna le condizioni della ripartenza del meccanismo capitalistico da trent’anni inceppato, il sistema dei partiti è lasciato al suo stato di fluidità non ci sono concrete speranze: rispetto alle flebili istanze di una ragione impotente, il populismo coltiva passioni e anche regressioni più forti. E facendo leva su pulsioni elementari esso è capace di riacquistare baldanza dopo l’illusione di un accantonamento momentaneo della fuga nella irrazionalità.
Alla ricerca di un Conte perduto, e con la volontà di potenza raccolta nel tavolino attrezzato davanti a Palazzo Chigi nel giorno dell’abbandono, i partiti di centro-sinistra non tengono in considerazione la sola verità che Grillo ha sinora pronunciato e cioè che l’avvocato è un assoluto nulla. Il Pd e i suoi satelliti sono rassegnati a prendere una vacanza sudamericana (sussidi nella decrescita, ozio creativo nella de-industrializzazione, giustizialismo) e non sono in grado di costruire un supporto politico indispensabile a Draghi che procede con risolutezza ma senza una organica forza coalizionale.
Il segretario venuto da Parigi non ha la capacità, e neppure l’intenzione, di fare da regista alla definizione di un nuovo centro-sinistra che assuma proprio l’opera di Draghi come fondativa. Vaga senza un progetto dietro un Conte disarcionato e da tempo mostra preoccupanti segni di irrilevanza. Tutto diventa palpabile quando con il tempo affiora l’inconsistenza di tutte le sue proposte che si dileguano perdendosi nel chiacchiericcio di un tweet.
ll Pd e i suoi cespugli, inghiottiti dalla (anti) politica-rancore di Conte, sono destinati alla celere marginalizzazione. Non hanno la forza e il pensiero per riprogettare le funzioni dei soggetti della politica dopo la discontinuità qualitativa che Draghi ha immesso nella vicenda politica, sociale e istituzionale. Questo è un vuoto che per la prima volta si presenta in forme così eclatanti. Fa tristezza la notizia di una sinistra sia pure minore che pende dall’oracolo di Travaglio.
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