La testimonianza
Iran, la giornalista Nazila Maroufian dal carcere di Evin: “Hanno abusato di me”. Le repressioni del regime a un anno dai fatti di Mahsa Amini
L’arresto per reati quali la “propaganda contro il sistema” e la “diffusione di notizie false” è collegato all’intervista al padre della 22enne di origine curda uccisa il 16 settembre per non aver indossato il velo correttamente

“Hanno abusato di me, nelle peggiori condizioni, mentre venivo arrestata a casa mia”. È Dal carcere di Evin, Teheran, Iran, che la giornalista Nazila Maroufian ha condiviso il suo racconto. È stata privata della libertà con contestazione di reati quali “propaganda contro il sistema islamico iraniano”, la “diffusione di notizie false” e il non rispetto dell’obbligo di indossare il velo. L’arresto però, il quarto, è collegato anche allo scorso 30 agosto, quando intervistò il padre di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che morì il 16 settembre dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale per non aver indossato il velo in modo corretto; la ragazza, aveva dato il via alla stagione di ribellione e repressione nella Repubblica Islamica insieme allo zio Safa Aeli, 30 anni, recentemente prelevato senza alcun mandato legale a Saqqez.
L’audio della testimonianza di Nazila Maroufian dal carcere è disturbato. La voce trema, lunghe pause. È in stato di shock tra singhiozzi e parole che faticano a descrivere quanto accaduto. La registrazione è quella di una chiamata alla sua famiglia, condivisa dagli attivisti sui social media. Durante il colloquio la giornalista ha annunciato il suo sciopero della fame per protestare contro la sua situazione e quella di tutte le donne che subiscono violenza nelle stazioni di polizia e nelle carceri: “Questo sciopero è per me, ma è anche per tutte le donne in condizioni terribili in Iran. Quella della violenza è una realtà e chiunque non ne parli ha le sue ragioni per avere paura, ma durante gli interrogatori e nelle stazioni di polizia, le persone vengono aggredite verbalmente e sessualmente”.
Detenuta nelle condizioni più disumane, in una delle prigioni più temute d’Iran, dove sono rinchiusi migliaia di dissidenti politici, giornalisti e artisti, i fatti accaduti a Maroufian confermano le peggiori paure delle donne e delle famiglie iraniane dopoché varie testimonianze avevano riferito che nelle prigioni iraniane seguaci degli ayatollah erano soliti violentare uomini e donne come forma di tortura.
Con l’anniversario della morte di Mahsa Amini alle porte, la Repubblica Islamica sta intensificando la sua repressione. Aumentano le minacce e le detenzioni, e si temono misure ancora più severe, con particolare preoccupazione per le università.
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