Lo scorso 15 giugno, una parte del Weizmann Institute di Rehovot, in Israele, è stato bombardato da un missile balistico iraniano. Due importanti edifici hanno subito danni significativi e con essi anche lo sviluppo scientifico mondiale. Dottorati di ricerca, pubblicazioni accademiche, laboratori, test e provette: le aule del Weizmann hanno rappresentato l’eccellenza e il cuore pulsante dell’avanguardia accademica. Un luogo impegnato al servizio dell’umanità. “Lo considero la quintessenza della ricerca scientifica, pieno di studiosi che guardano alla natura con curiosità e ingenuità per scoprirne i segreti più profondi – ci racconta Gavriel Hannuna, giovane scienziato italiano del Weizmann – Ci ho lavorato un anno e mezzo. Quando ho visto le foto delle rovine sono rimasto incredulo. Impensabile che la struttura in cui si fa ricerca su cancro, diabete e altre malattie sia stata distrutta. Mi ha lasciato spiazzato e profondamente triste”.

Il danno culturale è ben più esteso di quello materiale, stimato intorno ai 300-500 milioni di dollari, perché porta via con sé un patrimonio collettivo di conoscenza che negli anni a venire avrebbe potuto salvare vite in tutto il globo. “Una professoressa, con cui tutt’ora collaboro, aveva scoperto sequenze fondamentali legate a un bersaglio molecolare chiave, potenzialmente utili per lo sviluppo di nuovi anticorpi terapeutici. Quelle informazioni esistevano solo in quei laboratori, ora è tutto andato perso”. L’attacco non ha però generato sconforto. Anzi, in un paese abituato a vivere ciclicamente drammi e gioie, ha rafforzato il desiderio di rimettersi a lavoro, di ricostruire. “Il Weizmann non è solo l’insieme dei laboratori, ma delle straordinarie persone che ogni giorno vi dedicano mente e cuore. La cosa più importante è che siano tutte vive. Possono anche distruggere gli edifici, ma non potranno mai spezzare lo spirito degli scienziati che lo animano. Gli israeliani sono persone che sanno come andare avanti con positività e hanno lo sguardo rivolto al futuro”.

Insieme a un’ampia squadra di ricercatori, Gavriel lavora in uno dei laboratori del professor Eran Segal, scienziato di fama internazionale e tra i più prolifici del Weizmann. “Il mio progetto si chiama 10K e coinvolge diecimila persone di età compresa fra i 40 e i 70, che vengono sottoposte a test clinici nel corso di 25 anni. Si tratta di uno studio longitudinale volto a comprendere lo sviluppo delle malattie per identificarne i segnali premonitori e prevenirle in anticipo. Io analizzo alcuni dei numerosi dati che abbiamo per costruire modelli di IA per predire l’insorgenza di diabete e malattie cardiovascolari”. Un lavoro ambizioso e senza precedenti, che ha recentemente esteso la collaborazione ad altri paesi, come gli Emirati Arabi Uniti, per comprendere meglio la diversità biologiche degli esseri umani. Il sapere Made in Israel viene dunque esportato a livello internazionale con lo scopo di migliorare la qualità della vita e donare speranza di cura a chi lotta ogni giorno contro la malattia. Sfide presenti e future, che alimentano la macchina del sapere. “Nel laboratorio di Sima Lev, dove ho lavorato per un anno, si fa ricerca su una forma molto aggressiva di cancro al seno, il triplo negativo, e in particolare su nuovi approcci terapeutici per portare alla morte delle cellule tumorali”.

L’attacco al Weizmann riporta indietro le lancette del tempo, danneggiando non solo Israele ma tutte le realtà che vi collaborano e che vedono nell’istituto un partner indispensabile. Fra queste anche l’Italia, che al suo interno vanta la presenza di un gran numero di ricercatori. Molte sono le collaborazioni con il Bambino Gesù, San Raffaele di Milano, Politecnico di Torino e specialmente con l’ospedale Regina Elena di Roma “con cui Sima Lev collabora da anni. In Italia usano una tecnica molto avanzata per studiare il cancro al seno: costruiscono organelli 3D, usando tessuto canceroso che viene preso dalle biopsie delle pazienti, per comprendere quali possano essere le migliori chemioterapie da utilizzare”.

Lo spirito resiliente d’Israele ricostruirà quei laboratori in cui scienziati da tutto il mondo lavorano per il bene comune. Perfino per il bene di chi, in Occidente, chiede l’interruzione dei rapporti accademici con Israele, senza rendersi conto di danneggiare sé stesso.

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David Di Segni, 25 anni, giornalista pubblicista laureato in Scienze politiche e relazioni Internazionali. L'interesse per la politica estera mi spinge allo studio costante di conflitti internazionali e sicurezza globale.